lunedì 25 gennaio 2021

Parkour Therapy? - Una guida: Parte I

Questo post segue il precedente "Depressione & Parkour", nel quale c'eravamo lasciati con la promessa di un'analisi sul ruolo che il Parkour/Add/Freerun (o come lo volete chiamare) ha esercitato in merito alla mia afflizione di quella piaga moderna che è la depressione.

S
ono numerosi gli aspetti di questa disciplina che hanno determinato una valenza sia terapeutica che traumatica nei confronti di questo disturbo, per questo motivo e per facilitare la lettura cercherò quindi di dividerli in semplici categorie, spalmate su più post.

Non solo del ruolo attivo del Parkour verso al depressione parlerò, ma anche di quelle pratiche complementari (alle quali sono arrivato
più o meno grazie ad esso) che sono parte a tutti gli effetti del mio concetto olistico di "Pratica".

Per quanto ciò che scriverò si presenti come una guida, in verità
si tratta di un'analisi basata unicamente sulla mia esperienza personale, l’auto-indagine e l'osservazione altrui, di ciò che prima di tutto ho riconosciuto in me.
Come la maggior parte di ciò che scrivo non ha pretesa di valenza "scientifica", non c'è un vero e proprio metodo applicato, piuttosto si propone di gettare dei semi che idealmente faranno germogliare riflessioni volte ad arricchire le pratiche individuali del Parkour, mettendone in luce sempre più gli aspetti nascosti.
 

È inoltre doveroso premettere a chiunque ne ricerchi una qualche utilità, una cosa molto importante: SE la vostra vita è fortemente disordinata, SE vi perdete in abusi, SE avete un problema di maggiore entità, causa dello stato di malessere del quale soffrite, allora sapete che avete qualcosa di prioritario da mettere un minimo a posto, prima di poter trarre un qualche guadagno da ciò che descrivo.

Per cui sicuramente la pratica di uno sport/disciplina/arte vi può essere utile ed ispirante, ma facilmente può diventare un gioco nel quale nascondere voi stessi dai vostri problemi, e alla peggio divenire causa di ulteriori malesseri.


COME IL PARKOUR PUÒ ESSERE TERAPEUTICO PER LA DEPRESSIONE

- Acquisire valore di sé

 Il Parkour, come anche la pratica di una qualsiasi arte o disciplina sportiva, ha alla base una grande opera di fiducia verso sé stessi. Affrontare le avversità, ovvero ciò che ci risulta difficile - che sia una tecnica, una sfida od una condizione sfavorevole - porta nel tempo a modellare la considerazione di noi stessi in positivo.
Questo a patto che ci sia sempre chiaro da dove siamo partiti e che la nostra crescita sia allo stesso tempo sia in miglioramento quanto sostenibile.


Tra tutti gli elementi che concorrono a questa crescita quello che più mi sento di indicare come fondamentale è la costanza.
Questa non è solo una delle basi del concetto di disciplina, di cui parlerò in seguito, ma anche il terreno di gioco sul quale possiamo misurare il nostro progresso individuale.
Senza costanza difficilmente potremo avere un parametro di riferimento del lavoro che stiamo facendo su di noi!


Sempre con onestà, in base al tempo e alle energie che possiamo dedicare all'arte in cui abbiamo deciso di metterci alla prova, decidiamo quali obiettivi perseguire e quelle ore, anche poche, che diventeranno un impegno inderogabile nella nostra settimana.

 

- Acquisire un obiettivo

Da adolescente depresso e carico di un cinismo nichilista, l'aver scovato un obbiettivo ispirante, una direzione di vita è stata la grande illuminazione, il simbolo che il mio essere in verità desiderava vivere!
Non è facile capire cosa mi abbia portato, dopo aver scartato o perseguito con poca convinzione altre attività nelle quali risultavo più talentuoso, ad abbracciare un qualcosa che non mi apparteneva: la vita da sportivo, l'abilità motoria, una disciplina di strada.

Dietro a questa scelta credo di aver individuato la sostanziale voglia di cambiamento, di sacrificare un'identità vecchia e pesante, contaminata da un carico inutile di sofferenza ed amarezza. Un processo, questo, già timidamente iniziato pochi mesi prima dal mio esordio nel Parkour.

Ma non solo il cambiamento, anche la novità e la possibilità di esplorare un terreno incontaminato del quale sentirsi moderno pioniere, mi hanno guidato verso il desiderio di erigere questa disciplina ad obbiettivo di vita.

Da quel momento ad ora, si sono succeduti molti obbiettivi collaterali, alcuni perseguiti con successo, altri abbandonati nelle nebbie del tempo speso nella pratica, per la pratica.
Gli obbiettivi stessi talvolta sono stati fonte di malessere, per il loro carico emotivo di stress, insoddisfazione, frustrazione; la perdita di significato, di una cosa ritenuta preziosa, sempre  pericolosamente in agguato dietro l'angolo.


Dare ora forza a quella grande ispirazione che è stata l'inizio di tutto, è sicuramente molto più complesso ed impegnativo che nella giovinezza e talvolta richiede di doversi faticosamente concentrare sulla via, finché almeno, stanchi di un identità
magari diventata vecchia e pesante, non se ne scorga una nuova all'orizzonte, sulla quale incamminarsi di nuovo come principianti.


- Acquisire auto-disciplina

Dare valore di quel tempo che ho donato all'allenamento ha richiesto un prezzo non indifferente che è quello della disciplina.
Negli anni ho imparato sempre di più a curare vari aspetti che, dietro un apparente tornaconto pratico, nascondono più che altro un rituale utile innanzitutto alla mia psiche.


Coltivare dei riti periodici, che siano piccole sfide o obblighi personali, senza grosse illusioni di fama o di ricompense, senza che nessuno vi paghi o vi forzi SE NON VOI STESSI, è il cuore puro della disciplina.
Di certo il pensiero di avere delle "caramelle" alla fine degli sforzi è incoraggiante... personalmente è nel sapere che ho fatto pegno di utilizzare il  tempo di cui dispongo al meglio, il luogo in cui trovo realizzazione di me stesso.


L'auto-disciplina è quindi un prezzo che pago volentieri per il mio benessere fisico e mentale. L'insoddisfazione, la sensazione di buttare la vita e il tempo in seno alla pigrizia è carbone nella caldaia della depressione.

Saper infine applicare questa maturata disciplina alla correzione di tutti quei comportamenti collaterali della depressione  - quali gli abusi compulsivi e sistematici di varia natura che compiamo verso noi stessi e che spesso fraintendiamo come libertà - la rende strumento ancor più prezioso.


"La libertà è una cosa più complicata dei “diritti”, la libertà è una forma di disciplina. C’è un aneddoto che mi è sempre piaciuto: ti prendo, ti butto in mezzo al deserto e ti dico “vai, sei libero”. Tu non sei libero, anche se in apparenza lo sei. Per essere libero dovresti conosce le oasi più vicine, sapere dove andare, saperti orientare. Oggi l’uomo è disorientato. Ma questo disorientamento lo chiama “libertà”. Bisogna al contrario essere consapevoli di com’è questo mondo, per tracciare un sentiero che è la tua vera, disciplinata libertà."
- Giovanni Lindo Ferretti


- Breaking Jump

Questo è il grande tema che non poteva mancare qua. Alcune delle mie memorie più felici, che posso richiamare alla mente in maniera vivida, sono relativi ad alcuni dei salti più difficili e spaventosi che abbia mai affrontato nella mia pratica.
Il modo in cui hanno preso posizione nella mia memoria è simile al modo in cui un evento particolarmente traumatico si sedimenta nel nostro essere, provocando un cambiamento, ma in opposto, in positivo, in modo terapeutico

Queste memorie sono relative a quei salti che mi hanno inchiodato per anni al terrore, all'incapacità di affrontarli con il loro denso carico di ignoto, pur sapendo di possedere le abilità necessarie per poterli superare.
Ogni persona, che ne senta il bisogno, non dovrebbe sottrarsi alla chiamata di un salto come questi e prepararsi, con onestà e coraggio, ad affrontarli al meglio delle proprie capacità, ed evitare proprio l'effetto opposto.

Non solo di questi salti però si compone la scalata della fiducia in sé, ma di decine, se non centinaia di altri di movimenti che a vari livelli ci mettono di fronte ai nostri limiti e alla paura in tutta la sua terribile forza di dissuasione e che sono la vera base quotidiana della nostra trasformazione.


- Fare attività all'aperto

Non mi perderò via sullo scrivere quali siano i benefici dell'attività sportiva, in particolar modo all'aperto e alla luce del sole. Lo trovo superfluo a fonte della grande quantità di dati che si trova a riguardo con una semplice ricerca sul web. A riguardo mi limito a puntualizzare che lo stare all'aperto a fare una qualsiasi attività fisica è una gran cosa per tutto ciò che di chimico e psicologico concerne.

Tuttavia se nel quadro del Parkour devo indicare la vera rivoluzione nello stare fuori, questa è stata la nuova vista nei confronti dell'ambiente che mi circondava. Là dove prima c'era squallore e grigiore urbano improvvisamente è nato un ambiente ricco di opportunità, di movimento e d'avventura. Non riguarda di per sé il "giocare" con gli occhi di un bambino su di un neonato terreno immaginario, ma il cambio di prospettiva su qualcosa che prima è un problema, o più di frequente una mera scenografia del nostro dramma interiore, e dopo diventa nuovo mondo con il quale interagire, occasione di scoperta e di crescita.

 

- Gioco

Cos'è il gioco per la nostra società? Intrattenimento, scommessa, oppure un affare da bambini. Per la natura invece, a partire proprio dai più giovani, è formazione degli individui ed allenamento di quelle abilità pratiche che poi risulteranno fondamentali nella vita.

Da quando sono entrato nel Parkour e ho iniziato ad acquisire un'idea sempre più positiva e funzionale del concetto di gioco, iniziando anche a stupirmi quanto la nostra società nel tempo abbia scisso
dal gioco il valore educativo ed istruttivo innanzitutto dallo sport (che alla base è gioco), rendendolo spesso fine a sé stesso... ovviamente non senza rare nobili eccezioni, quali gli scacchi (con altri giochi da tavolo) e quelle di chi in campo educativo spinge sempre di più nell'utilizzo di questo strumento ad ogni livello d'apprendimento.

A questo punto ho inoltre notato
anche quanto culturalmente il gioco puro - inteso come attività ricreativa divertente, senza apparente secondo scopo - sia nell'adulto un istinto tendenzialmente soffocato. A fronte poi di gravi fenomeni conseguenti, quali le ludopatie.

Eppure proprio questi "malati del gioco", così come le tonnellate di adulti che spendono parte del loro tempo e dei propri soldi su videogiochi, giocando a biliardo o a vari giochi da tavola, proprio questo ci insegnano: che il gioco è un bisogno fondamentale per ogni età!

 


"All work and no play makes Jack a dull boy"

- Jack Torrance

Togliere l'attenzione dal gioco sano significa spesso dover curare le sopraccitate ludopatie, problematiche motorie, comportamentali, deficit di ogni sorta.
Questo però non vuol dire che il Parkour vada preso come un gioco e sia una cura a tutto ciò, anzi. Ma che l'attività motoria in generale lo possa essere e che possa rivestire ancora quella funzione d'allenamento alle abilità della vita.


Attraverso quella che è la parte di gioco dell'attività sportiva ho imparato ad affinare le mie abilità, a ripristinare il contatto fisico con gli altri (sigh), a solidificare rapporti sociali, a visualizzare i miei limiti con leggerezza d'animo.
Il Parkour vero e proprio invece è stato a più riprese una cosa molto seria per me, non perseguita con l'intenzione di "giocattolare" e tendenzialmente poco incline a vari "Parkour games".


Eppure mi son reso conto di quanto in verità negli anni il gioco abbia sempre fatto parte della mia pratica, guidandomi alla scoperta di un ambiente, potenziando la mia creatività, aiutandomi ad apprendere meglio ciò che perseguivo, allenando la mia capacità di "giocare con gli altri".
Ma soprattutto restituendomi quella sensazione di benessere, così puerile e fine a sé stessa, che troppo spesso in passato ricercavo nell'azione di qualche sostanza o davanti ad uno schermo, anziché nel movimento stesso.


Ora che questa disciplina è anche il mio lavoro, che continuo come tutti a subire le pressioni della vita di un adulto e di un mondo che funziona come funziona, il gioco ha preso coscientemente un ruolo sacro, nel saper di tanto in tanto smorzare la serietà degli allenamenti, nel tenermi fresco, vitale e rilassato.

E per quanto possibile, assieme a tutti gli altri aspetti del Parkour, lontano dalle grinfie della depressione.




Al prossimo post: Gli aspetti negativi

venerdì 15 gennaio 2021

Depressione & Parkour

Ho iniziato a soffrire le prime forti avvisaglie di depressione intorno ai 16 anni. Una situazione familiare e abitativa instabile sommata a quel tritacarne emotivo che è l'adolescenza - con i primi abusi di alcool, droghe, gaming e quant'altro -, sono state la miscela giusta per un risultato abbastanza prevedibile. Ho pochi bei ricordi di quegli anni, dettati perlopiù da rarissime amicizie significative e da varie esperienze randagie.

Alla soglia della maturità il mio umore altalenante era orientato verso un più grintoso delirio egotico: la fine delle superiori ero sicuro mi avrebbe aperto a ogni opportunità di rivalsa... e invece ad attendermi un lavoro detestabile e lo squallido grigiore.

Quel periodo - tra i 19 e i 21 anni - è stato caratterizzato da astenia, ossia un profondo e radicato senso di prostrazione e stanchezza, accompagnato da una situazione umorale instabile che partiva dall'euforia eccessiva per piombare nella depressione più cupa o nella rabbia feroce... situazione che quando non si manifestava in questi estremi era perlopiù di apatia.

A tenermi su in quella fase è stata una compagnia di persone straordinarie che avevo casualmente incontrato quegli anni, ma che purtroppo vedevo poco spesso a causa della lontananza e del lavoro, unitamente ad alcune piccole passioni artistiche/nerd e un po' di socializzazione virtuale maturata in varie comunità online.
Tuttavia anche la socialità non mi era facile, oltre una certa soglia di esposizione a gruppi di persone, per quanto amiche, il desiderio ansioso di fuggire aumentava, come se la cosa a una certa diventasse un peso insostenibile.

Di quei vent'anni ricordo di essermi sentito perlopiù un quarantenne, sempre sigaretta in bocca e birra in mano, sveglia presto, il dovere verso il "dio" lavoro e il fine settimana a spaccarsi nel tentativo di soffocare il disagio esistenziale. I segni di quello che ero ce li avevo nel volto, di frequente mi si attribuivano molti più anni di quanti effettivamente ne avessi.


Depressione e Parkour: l'incontro con la pratica

Poi le cose ogni tanto cambiano, quasi per caso. La crisi dei mutui subprime aveva innescato una serie di eventi che si sarebbero concretizzati negli anni successivi in una diffusa crisi del settore edilizio presso il quale lavoravo, "regalandomi" molto più tempo libero per cercare lavoro - principalmente nel settore della grafica nel quale mi ero diplomato - e un'inaspettata scoperta.

Verso fine dell'estate 2009 un mio caro amico d'infanzia, con il quale mi tenevo occasionalmente in contatto, aveva iniziato a parlarmi di una strana disciplina che aveva iniziato a fare da solo, dopo aver visto un certo film d'azione... Indagando aveva trovato delle tabelle d'allenamento in internet, per creare una preparazione atletica di base, e alcuni forum online italiani, di cui uno veneto, di primi appassionati che si scambiavano informazioni a riguardo. Quella disciplina era il Parkour.

I primi video che il mio amico mi fece vedere erano quelli che pochi anni dopo non avrei esitato a definire ignoranti. Trick mai visti prima su muretti, backflip da metri di altezza, giganteschi salti con rotolamenti, oltre le classiche scene di inseguimento (di quella cagata) di Banlieue 13.
Non so dire cosa scattò esattamente in me a quel punto. Un misto tra istinto scimmiesco, fascinazione verso movimenti così assurdi,  l'apparente assenza di maestri e palestre che lo rendevano così libero e aperto... elementi che mi avrebbero fatto mettere in gioco pochi giorni dopo nel mio primo allenamento.

Il fascino per il movimento non era qualcosa di nuovo in me. L'infanzia l'avevo spesa ad arrampicarmi sugli alberi e avevo sempre avuto una certa ammirazione per le arti marziali che mio padre mi aveva tramandato, avendone praticate in gioventù.
Ma non ero una persona sportiva, mi sentivo scoordinato e pigro, e, a parte un anno irrisorio di karate e un altro di nuoto alle medie, non praticavo alcuno sport al di fuori dell'ora di educazione fisica a scuola.
Alle superiori spesso neanche quella, anche se non era assente l'interesse verso una certa cultura di movimento, che però non andava oltre al "vorrei ma non posso" e il "non sono capace" e che di fatto non si è mai concretizzato in alcuna scelta.

Con questo primo allenamento per la prima vera volta della mia vita sceglievo coscientemente di fare sport.

Da subito l'impatto è stato con la difficoltà.
I polmoni atrofizzati da anni di fumo e la mancanza totale di ritmo mi impedivano di correre per più di 8 minuti. Muscoli mai portati in allungamento mi limitavano in quei pochi movimenti che cercavo di replicare da video e tutorial.
Ad aiutarmi invece erano la resistenza maturata attraverso il lavoro, una discreta reattività muscolare e un'incredibile carica di ispirazione e ambizione.

Di quei primi mesi non parlerò nel dettaglio, coincidendo in parte con la nascita di questo blog. Ma parlerò di quella che è stata la trasformazione della mia vita e del mio umore in quel breve periodo.

Depressione e Parkour: la metamorfosi

A distanza di poco tempo avevo trovato un lavoro fulltime in un'azienda come responsabile marketing. Avevo una ragazza. Avevo dato una ridimensionata drastica a tutti i miei comportamenti negativi e praticavo Parkour regolarmente 3-4 volte a settimana, 8 ore a settimana.

Oltre a scoprire le mie nascoste abilità fisiche, quel mutamento profondo in atto nelle mie sinapsi aveva migliorato anche la mia creatività e iniziavo ad affacciarmi spontaneamente a una visione della pratica che timidamente definivo spirituale. In questo quadro la depressione, grazie al Parkour era quasi del tutto scomparsa.

Poi le cose, questa volta non per caso, cambiano. Il lavoro stava andando male. Mi trovavo male coi colleghi. Anche la relazione faceva acqua da tutte le parti. Istericamente cercavo di reagire con sovradosaggi di quella medicina che era il Parkour, causandomi i dovuti effetti collaterali e infine portandomi a un crack generale in un po' tutti i fronti.

Da qua una serie di eventi ampiamente descritti in questo blog, che mi hanno portato fuori dai confini italiani, al primo vero infortunio, a un abbandono temporaneo del Parkour. E infine al mio ritorno sulla scena, ai primi anni da insegnante, una sequela di grandi soddisfazioni e fastidiosi infortuni.

In tutto questo la depressione, protagonista di questo post, ciclicamente è sempre stata una costante mai del tutto assopita. Il Parkour il suo contraltare, inizialmente grandissima terapia, in seguito generalmente positivo ma non esente dall'essere fonte di trauma e malessere vario.
Ad ora non una cura definitiva, ma la prima di tante pietre posate verso un lento processo di guarigione.

Mi trovo difatti a scrivere su questo blog di questo argomento intimo e delicato per un motivo ben preciso. Gradualmente in questi ultimi anni ho trovato più stabilità psichica di quanta ne abbia avuta nei venti precedenti, avendo guadagnato di anno in anno periodi sempre più lunghi di quiete, fino al picco attuale di 6 mesi senza sintomo depressivo alcuno: la prima volta di un periodo così lungo dall'adolescenza!

Questo non significa che non abbia avuto difficoltà, mancanze e dolori in questo arco di tempo... bensì l'essere riuscito a conviverci senza quel senso schiacciante di futilità nel confronto di qualsiasi sforzo e di perdita di senso assoluta verso la vita nel suo complesso.

Scopo di ciò che scriverò in dettaglio non è certamente il vendere una cura miracolosa (specie per una patologia complessa che presenta vari stadi e diverse cause), piuttosto quello di condividere la mia esperienza su come il Parkour e i suoi differenti aspetti abbiano avuto influenza su questo stato di sofferenza mentale che è la depressione.
Sia per poter essere d'aiuto a chi ne ha bisogno, sia per mettere in guardia chi si avvicina rischiosamente a una mentalità e a una pratica che possano portare più malessere che beneficio.

Al prossimo post: Parkour Therapy? - Una guida

lunedì 4 gennaio 2021

Tutte stagioni in movimento

Questo post nasce con la sola intenzione di creare un degno "mausoleo" di questo progetto. Non aggiunge alcun sostanziale nuovo materiale a riguardo, piuttosto si limita a raccogliere tutti gli elementi disseminati in giro nei vari social. Per quanto riguarda i dettagli e i vari contenuti "esoterici", lascerò il compito a chi avrà l'interesse e la pazienza di studiarsi l'opera e gli indizi di scoprirli autonomamente. Quasi nulla è lasciato al caso nella realizzazione di ciò e chissà, indagando qualcuno troverà risposte per sè stesso e per la propria pratica... che ricordiamoci è pratica di vita!
 
 
"Tutte le Stagioni in Movimento" è un progetto che ho iniziato a coltivare subito dopo la fine del primo lockdown.
Non avendo un'idea chiara di cosa avrebbe parlato, ho iniziato a modellare le clip che stavo raccogliendo in qualcosa che descrivesse e riassumesse quella scelta che ho fatto 11 anni fa e che da allora sta conducendo la mia vita.

Questo NON è un video di parkour.
 
È più un documentario. Sulle transizioni nella vita. Sul crescere e l'evolversi. Sulla dedizione a una pratica di movimento, che non è un processo lineare. Invece passa ciclicamente attraverso fasi e regioni - nelle quali dipenderà principalmente a te quanto starci, una volta salitoci di nuovo -.

Allo stesso modo NON è solo movimento.

È anche un tributo ad alcune delle persone che stanno ancora rendendo significativa questa esperienza. È un tributo alla magnificenza e alla poesia della natura, per la quale noi umani abbiamo iniziato a creare arte appositamente per imitare tanta bellezza.
Il risultato è un prodotto a me così intimo e prezioso che ho persino paura a condividerlo.




Il parkour diventa riflessione artistica ed esistenziale nel video di Ravi Semenzato
"Il progetto, che è stato sviluppato dopo la fine del lockdown, si compone di quattro capitoli (...) che rappresentano metaforicamente le stagioni vissute da Ravi durante la sua esperienza di movimento (...) L’autore non manca inoltre di rivolgere l’attenzione verso l’aspetto contemplativo della disciplina, in un continuo equilibrio e scambio tra la pratica motoria e il territorio circostante."

- Il parkour diventa riflessione artistica ed esistenziale nel video di Ravi SemenzaSabrina Zuccato , Venezia Today


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Primo capitolo introduttivo, ultimo in ordine cronologico di montaggio, in "Primeval KAOS" (Caos Primordiale)  è quello nel quale mi sono avvalso della partecipazione di parte della nuova "linfa vitale" del parkour veneziano.

In ognuno di questi protagonisti c'è un aspetto che rispecchia il modo in cui ho vissuto i primissimi anni della pratica: l'ambizione, il confronto -talvolta bruciante- con i propri limiti adeguatamente bilanciato dalla fiamma del successo e dall'effimero calore della soddisfazione.

È un territorio, questo, nel quale sosto sempre meno, ma è un fuoco rovente, primitivo, che continua ad esercitare il fascino antico del focolare, al quale prima o poi tutti tornano per potersi scaldare.
Il titolo originale era anche: "Sun Walk with Me" (Sole Cammina con Me).





FERMATI è il capitolo dal quale tutto è nato, casualmente dai primi allenamenti in compagnia al termine del primo lockdown, senza sapere che avrebbe fatto parte di un progetto più grande.

Da un 50 mm e una canzone casuale nascono i primi richiami alla lotta di muscoli stanchi -che è reale-. È il capitolo con più SPIGOLI, il più difficile da digerire. Come la ripetizione nelle avversità è difficile da digerire. Come la frustrazione del non crescere è difficile da digerire.

E come lo è quel desiderio spesso amaro da ingoiare di voler dire FERMATI dal gioco, di abbandonarlo e buttare acqua sul fuoco.
È l'inverno della motivazione, dal quale nascerà una nuova primavera?





"Fools paradise"
(Il paradiso degli sciocchi), il capitolo al quale mi sento più legato.

Leggerezza è la parola che lo descrive. Formiche in panico lo popolano, nel loro mondo che è stato agitato. Assieme a sciocchi che sfidano pericoli che forse non conoscono. Sullo sfondo il loro mondo, che è stato agitato, una primavera già estate.

Amicizia, solitudine, imprecisione, perfezionismo. Movimenti "fuori fuoco" e pura concentrazione, vuoti che si riempiono. Un gioco di opposti in costante transizione l'un l'altro a simboleggiare l'elemento etereo dell'aria.


"Harmony Peaks"
(Le vette d'armonia) il titolo originale.






HUMUS è il terreno da cui tutte le pratiche sono generate. È la fine e l'inizio di un percorso che va da A (movimento) a B (contemplazione). È la dissoluzione, di una qualsiasi identità, nella partecipazione, con ciò che la circonda (le realtà).

Il piede nudo è un tramite tra queste realtà. Testimoni di queste realtà sono: foglie secche, che annunciano l'autunno; scarabei, che si trascinano come ombre al loro destino; grida, di quei bambini, dai quali forse tutto rinascerà.
Poiché ciclo dopo ciclo, tutto ritorna: trasformato!

Sono tutte stagioni in movimento.