domenica 20 marzo 2022

Ricordo di una famiglia

Per chi avrà la briga prendersi un po' di tempo e di leggere, lascio qui questo post. Nato per una memoria che gira già da un po' per la mia testa, senza voler prender mai forma scritta, della quale in verità ne approfitto per dare qualche update sulla mia vita. Un tema, dopo tanto, non Parkour specifico e che riprende in mano il blog per come originalmente inteso.

Allo stato attuale (precisamente da Luglio scorso) abito a Treviso. Dopo anni spesi a Mestre, spinto da una congiunzione di avvenimenti (equamente  avversi e non), ho deciso dunque di cambiare per l'ennesima volta aria.
Ne è conseguito un periodo frenetico, il più "full" di sempre da quando interamente Parkour coach. E non di poco alimentato dalle varie delusioni e crisi esistenziali sostenute nel frattempo, date soprattutto dal bisogno di un'abitazione stabile e di entrate regolari, a contrastare le spese sempre crescenti.

Ma anche dalla scelta di dedicarmi ad un lunghissimo periodo di studio come Personal Trainer. Una cosa nuova per me: una tale esperienza di formazione, di un livello così simile a come penso possa essere quello universitario, era un vuoto decisamente da colmare nella mia vita!

In tutta questa marea di cose, ho però realizzato (e come spesso succede in questi casi, per vie trasverse), che sostanzialmente vivo la mia vita nella fretta. Incapace di prendermi del tempo qualsiasi, per compiere un gesto qualsiasi, con la calma e la lentezza che magari meriterebbe.
È grazie a questa realizzazione che oggi, Domenica, sono qua. A scrivere su questo blog, a completare una compilation dei (pochi) movimenti interessanti di questi ultimi 6 mesi, a disegnare a caso, ad ascoltare con attenzione un po' di musica...

E fondamentalmente a smaltire un po' di quell'amarezza dalla quale mi sento avvelenato. Dagli sforzi costanti e dello stress che metto in ogni cosa, nel rincorrere una carota d'indipendenza. Con un mondo sullo sfondo che pare cadere in frantumi, con sempre più frenesia.

Lo spazio per la disciplina in cui sono nato, è inevitabilmente confinato in un angolino marginale del mio tempo libero. Sicuro dopo 12 anni d'esperienza, di cui gli ultimi passati a costruire senza riposo (nonché l'inevitabile consequenzialità del dovermi muovere ogni giorno per lavoro), la performance tecnica che mantengo è di poco sotto ai suoi momenti di picco.

Ma lo sono, per di contro, anche l'intensità degli infortuni da sovraccarico, nutriti da un inverno più lungamente rigido del solito, e dalla mancanza di un allenamento progressivo, regolare e costante. Tuttalpiù che una piccola parte del mio tempo ho deciso di dedicarla ad una branca di movimento che da inizio anno mi ha dato quel brivido che raramente sento ancora per il Parkour. Quella della lotta, per la quale frequento (per un misero paio d'ore a settimana) un corso di Gracie Brazilian Jiu-Jitsu.

Una necessità naïf forse, visto anche il poco tempo da poterci dedicare, ma non per una persona che vive di movimento. Che ha bisogno di stimoli costanti per mantenere la volontà attiva in ciò che fa e persegue nella vita.

Dopo questa lunga digressione, torniamo infine a quel pensiero per il quale è nato questo post, che girava per la testa da giorni senza volersi concretizzare. Nato in preda ai deliri febbrili, è la rievocazione di un ricordo di tanti anni fa, di quando ero in Australia.

È la memoria di un Natale straordinario, passato sui Grampians del Victoria: quattro giorni di trekking e campeggio con Georg e Teresa. Miei amici e mia piccola famiglia, di quel periodo già lontano.
Di una vigilia in semplicità con scatolame, di un cielo stellato immenso da mozzare il fiato, di un falò a contrastare il buio e il vento freddo di quel Natale selvaggio, nel remoto. Con poco, ma con Tutto.



Perché emergi ora, ricordo?