lunedì 20 dicembre 2010

Snow training


Questo sabato ho avuto finalmente modo di testare l'allenamento sulla neve, ed è stata un'esperienza divertente e spero anche edificante. L'inizio è stato pesante, col mio compare di tracciate siamo partiti per i consueti due kilometri di riscaldamento e da subito le difficoltà si sono sentite intensamente: la stratificazione di abiti era decisamente abbondante, la temperatura inaspettatamente mite, la neve fottutamente morbida. Già come corridore sono sempre in difficoltà, non tanto per il respiro, quanto per la zona tra caviglie e polpacci che s'incendia dolorosamente e che solo grazie ad un pre-riscaldamento gambe riesco a tenere sotto controllo per tutta. Pre-riscaldamento ovviamente non effettuato. Un po' per i vestiti e il caldo, molto per la neve che assorbiva la spinta dei miei passi, complice anche un pranzo abbondante in un tempo decisamente troppo vicino all'inizio dell'attività fisica, fatto sta che dopo 5 minuti ero spompato e costretto a camminare per recuperare, i successivi minuti sono stati un'alternanza di corsa e camminata, fino all'arrivo del luogo di allenamento, mentre il mio compare sgambettava solitamente e tranquillamente come un capriolo, beato come se niente fosse. Superato il traumatico disagio iniziale, ci siamo dedicati al consueto riscaldamento articolazioni, per poi darci ad una sessione breve ma estenuante di quadrupedia sulla neve, compensativa del potenziamento che di solito facciamo all'inizio. Questa si è svolta su di una piccola arena a gradoni, dalla tipica pianta semicircolare, calibrata con cinquanta passi avanti sul cerchio superiore, quarantacinque indietro su quello subito sotto, idem fino alla base, con rispettivamente circa 35 avanti e 30 indietro (che per appesantire ho eseguito nella modalità ginocchia dritte e culo alto). A seguire un breve recupero (nel primo esercizio il recupero era bilanciato nelle sole discese al gradino successivo per pochi istanti), per poi ripartire in salita con lo stesso ciclo, in propedeutica kong dritta, laterale dx, sx e infine dritta ancora.
A seguire tecnica libera, salti di precisione, salti di precisione con rincorsa e stacco -running to precision-, piccoli kong-to-precision, salti di precisione continui in salita sui gradoni, passaggi di fluidità su sbarra, il tutto ovviamente nella piena attenzione per il ghiaccio, la neve e la scarsa aderenza delle scarpe fradicie. Poi qualche momento di gioco, goffi tentativi miei di ribaltate sulla neve, ovviamente molto dolorosi senza l'ammortizzazione naturale, potenziamento di fondo e stretching accurato, il tutto per due ore e mezza divertenti e speciali, dalle quali siamo tornati fradici ma temprati.

Cold Cell

Come avevo scritto all'inizio di questo blog sono ancora indeciso su molte cose che riguardano il layout di questo mio spazio, ma sul titolo credo di aver raggiunto la stabilità. Perchè la fredda cella? La scelta nasce semplicemente da una canzone "a cold cell" che ascolto frequentemente in questo periodo; una scelta casuale in quel momento, ora un canovaccio per darvi un significato: una cella fredda è la mia stanza nella quale sostanzialmente vivo per la maggior parte del tempo libero, una cella fredda è il mondo, dove ci si deve impegnare per cercarvi un po' di umanità per potervisi scaldare, una cella fredda è un monitor, sempre più teatro delle nostre vite e collegamento costante con il mondo, ricco di così tante banalità da assopire le nostre vere emozioni e la percezione di cos'è reale, una cella fredda è quella come nella canzone, una paranoica prigionia politica che sembra tetramente affacciarsi all'orizzonte, una cella fredda, anzi la cella fredda, è la mia scatola cranica, che necessita di scaldarsi, di sciogliere certi meccanismi incrinati dal ghiaccio, per fare pulsare ciò che si sente in bisogno d'esprimere e per migliorare il modo in cui farlo. Buona lettura.

domenica 19 dicembre 2010

Zero tolleranza

Mi ritrovo sempre più sopraffatto dall'indignazione di fronte al mondo di ogni giorno, disgustato dalla stupidità della gente, dalla loro totale mancanza di giudizio e dalla loro comunque ostinata brama di giudicare. Sembra un paradosso, ma nell'era in cui la comunicazione è una costante in ogni minuto, l'incomunicabilità regna, la pigrizia mentale nel voler elaborare concetti complicati, o perlomeno affrontarli con una crescita che porterà in qualche modo a migliorare la propria capacità di pensiero è un freno evolutivo per l'uomo stesso, che si gongola tronfio nella convinzione di avere chissà quale verità in mano. È così da sempre, si dice, ma è anche vero che oggi l'uomo ha a disposizione un'infinità di mezzi di quanti ne aveva un tempo, ciò nonostante li rifiuta, continua ad essere bacatamente un pupazzo imbrattato di propaganda, di slogan idioti, di idoli da adorare -che poi deludono e poi ancora "aveva ragione l'altro, seguiamo quello"- e così via... E io questo non lo accetto, mi scopro sempre più mostro anch'io, intollerante di minoranza, ottenebrato dalla superbia, dall'arroganza che offusca la capacità di giudizio che ho costruito negli anni, ragionando su ciò che mi circonda, cercando di mettere da parte il mio ego ingordo per spiare quali verità ci sono dietro le maschere. Questo di certo non mi ha ancora reso un uomo migliore, non riesco ad applicare totalmente alla mia vita quello che amplio nella mia coscienza, ma di una cosa sono sicuro, l'indignazione che provo, la rabbia, è una bestia oscura che si agita per azzannarmi alla gola, ma figlia comunque della giustizia -si, la mia giustizia- che deve portare comunque a combattere ciò che è sbagliato a priori, ad avere zero tolleranza per quelli che sono comportamenti spudoratamente criminali, che minano alle libertà individuali per tutti, che sono state conquistate con martiri e sacrifici.





Sono stato vago fin'ora, ma si sarà notato qualche accenno vagamente politico, per avvicinarsi al punto c'è uno scenario, che è quello dell'Italia di oggi (escludo per ora il mondo, anche se si sa che tutto il mondo è paese), l'Italia della corruzione da impero decadente, satura di burocrazia e tassazione, sfigurata dall'impoverimento economico dei ceti sociali alla base delle spirali di piramidi sociali, e ancor peggio da quello culturale e morale dei vertici di tali piramidi, come fossimo in un medioevo tecnologico, un nuovo feudalesimo di servi della gleba informatica. Gli studenti protestano in piazza per quella riforma che lacererà una scuola pubblica già sanguinante, a favore della privatizzazione che porterà sempre più in alto un ottuso sistema castale. La violenza esplode ovviamente, la propaganda si attiva e i paladini della morale pubblica, in veste di gentili colleghe d'ufficio, s'indignano facendosi forza orgogliose con dichiarazioni epiche quali "tutti in carcere a bastonate" "studenti che non hanno voglia di lavorare, irriducibili violenti" ironici commenti su come bisognerebbe "sparargli addosso", contrapposti a più edulcorati "sono dei violenti, non meritano d'essere ascoltati, la violenza non si giustifica". Queste le parole delle stesse persone che si troveranno a fare dei sacrifici considerevoli per poter dare un'adeguata istruzione ai loro figli, in modo che possano sperare in un futuro migliore dell'essere anche loro dei semplici impiegatucci stressati e sfruttati, a limite della malattia per l'ansia della loro condizione. E poi ci sono io, dall'altra parte, che cerca di tenere un professionale atteggiamento di distacco, deciso a non farmi trascinare ancora in inutili scontri sulla morale e sulla politica. Mi dico "che me ne fotte a me, gli universitari sono dei privilegiati, io non lo sono stato, mia madre non ha potuto e mio padre non ha voluto". Ma la lungimiranza si dissocia dall'ego mio, valutando il tutto con un'ottica più grande, quello al quale si assiste è la privazione di un'istruzione pubblica valida, già troppo costosa di suo e d'ora in poi sempre più accessibile solo per pochi, quelli che potranno permettersela, non di certo i figli degli operai alla fame, non di certo i figli che avrò e per i quali vorrò dare una possibilità in più di realizzarsi di quelle che ho io. E qua cedo, di fronte a tale ottusità di chi vede solo una massa di violenti che danneggiano proprietà private, senza vedere i quattro poliziotti che calciano un ragazzo a terra, ignorando i provocatori sospetti, rifiutando di informarsi sulla faccenda diversamente che dal tgregime1 e implicitamente lodando La Russa e i suoi fanatismi militareggianti, qua cedo e cado anch'io nello scontro, venendone fuori ferito, fatto passare per quello che giustifica la violenza, incapace ancora una volta di esprimere il mio pensiero in maniera coerente, sempre più rabbioso e spinto ad agire con la violenza di queste persone che credono che solo ciò che crea danni materialmente possa essere chiamata violenza. Com'è difficile...

P.S. Prosegue sui commenti...

venerdì 10 dicembre 2010

arte

Lungi dal chiamare arte ciò che faccio, mi piace fantasticare che un giorno arriverò a trasmettere emozioni con ciò che riesco a creare e a trarne soddisfazione, anche se, considerata la mia costanza e pigrizia (che mi hanno fatto già perdere confidenza nel disegno a mano libera), la vedo una strada difficile. 
Crogiolandomi nelle mie fantasie da aspirante artista - come dice Pasolini "Perchè realizzare un'opera, quando è così bello sognarla soltanto" - qualche volta abbandono la sfera dei soli pensieri per cercare di realizzarne almeno una minima parte. Come sempre la parte più difficile è quella di fissare l'immagine che si ha in testa e concretizzarla, e qua io cado miseramente e ricorro alla mia capacità di improvvisare per salvare le idee, anche se il risultato non è mai quello che ci si è prefissati.
Questo è uno dei miei ultimi sforzi, quarto di una serie incentrata sulle architetture di fantasia estrapolate da oggetti meccanici fotografati a lavoro (particolari di filtri anti-polline, motorini ventole, sonde per serbatoio etc.) e l'iterazione del mio personaggio con esse, come se fossero cosiddetti "spot" per i miei allenamenti.

Il risultato non mi soddisfa appieno, mi convincono ancora poco le ombre, le prospettive e la complementarietà della mia figura con l'ambiente circostante, tutto sommato il risultato è migliore di quanto sperassi e spero lo possano apprezzare anche i futuri lettori.
Architecture IV

L'inizio

Provvisoriamente vi do il benvenuto nel mio blog personale, nato dalla necessità di condividere i miei pensieri in modo più approfondito e durevole di quello che può essere nel mondo dispersivo dei (a)social network, dai quali sono sempre più nauseato e indispettito dalle regole che li dominano. Provvisorio perchè ancora insicuro sul titolo, sulla grafica e sulle immagini, ma la cosa certa è che questo mio spazio sarà l'angolo dove pubblicherò le mie considerazioni sul mondo e soprattutto sul mio mondo, fatto di musica, paranoie, politica, filosofia, arte e parkour. Vi lascio per ora alla canzone che ispira il titolo (forse) provvisorio del blog, una cella fredda per la cella fredda, splendida opera di quelli che furono i Coil.