venerdì 15 gennaio 2021

Depressione & Parkour

Ho iniziato a soffrire le prime forti avvisaglie di depressione intorno ai 16 anni. Una situazione familiare e abitativa instabile sommata a quel tritacarne emotivo che è l'adolescenza - con i primi abusi di alcool, droghe, gaming e quant'altro -, sono state la miscela giusta per un risultato abbastanza prevedibile. Ho pochi bei ricordi di quegli anni, dettati perlopiù da rarissime amicizie significative e da varie esperienze randagie.

Alla soglia della maturità il mio umore altalenante era orientato verso un più grintoso delirio egotico: la fine delle superiori ero sicuro mi avrebbe aperto a ogni opportunità di rivalsa... e invece ad attendermi un lavoro detestabile e lo squallido grigiore.

Quel periodo - tra i 19 e i 21 anni - è stato caratterizzato da astenia, ossia un profondo e radicato senso di prostrazione e stanchezza, accompagnato da una situazione umorale instabile che partiva dall'euforia eccessiva per piombare nella depressione più cupa o nella rabbia feroce... situazione che quando non si manifestava in questi estremi era perlopiù di apatia.

A tenermi su in quella fase è stata una compagnia di persone straordinarie che avevo casualmente incontrato quegli anni, ma che purtroppo vedevo poco spesso a causa della lontananza e del lavoro, unitamente ad alcune piccole passioni artistiche/nerd e un po' di socializzazione virtuale maturata in varie comunità online.
Tuttavia anche la socialità non mi era facile, oltre una certa soglia di esposizione a gruppi di persone, per quanto amiche, il desiderio ansioso di fuggire aumentava, come se la cosa a una certa diventasse un peso insostenibile.

Di quei vent'anni ricordo di essermi sentito perlopiù un quarantenne, sempre sigaretta in bocca e birra in mano, sveglia presto, il dovere verso il "dio" lavoro e il fine settimana a spaccarsi nel tentativo di soffocare il disagio esistenziale. I segni di quello che ero ce li avevo nel volto, di frequente mi si attribuivano molti più anni di quanti effettivamente ne avessi.


Depressione e Parkour: l'incontro con la pratica

Poi le cose ogni tanto cambiano, quasi per caso. La crisi dei mutui subprime aveva innescato una serie di eventi che si sarebbero concretizzati negli anni successivi in una diffusa crisi del settore edilizio presso il quale lavoravo, "regalandomi" molto più tempo libero per cercare lavoro - principalmente nel settore della grafica nel quale mi ero diplomato - e un'inaspettata scoperta.

Verso fine dell'estate 2009 un mio caro amico d'infanzia, con il quale mi tenevo occasionalmente in contatto, aveva iniziato a parlarmi di una strana disciplina che aveva iniziato a fare da solo, dopo aver visto un certo film d'azione... Indagando aveva trovato delle tabelle d'allenamento in internet, per creare una preparazione atletica di base, e alcuni forum online italiani, di cui uno veneto, di primi appassionati che si scambiavano informazioni a riguardo. Quella disciplina era il Parkour.

I primi video che il mio amico mi fece vedere erano quelli che pochi anni dopo non avrei esitato a definire ignoranti. Trick mai visti prima su muretti, backflip da metri di altezza, giganteschi salti con rotolamenti, oltre le classiche scene di inseguimento (di quella cagata) di Banlieue 13.
Non so dire cosa scattò esattamente in me a quel punto. Un misto tra istinto scimmiesco, fascinazione verso movimenti così assurdi,  l'apparente assenza di maestri e palestre che lo rendevano così libero e aperto... elementi che mi avrebbero fatto mettere in gioco pochi giorni dopo nel mio primo allenamento.

Il fascino per il movimento non era qualcosa di nuovo in me. L'infanzia l'avevo spesa ad arrampicarmi sugli alberi e avevo sempre avuto una certa ammirazione per le arti marziali che mio padre mi aveva tramandato, avendone praticate in gioventù.
Ma non ero una persona sportiva, mi sentivo scoordinato e pigro, e, a parte un anno irrisorio di karate e un altro di nuoto alle medie, non praticavo alcuno sport al di fuori dell'ora di educazione fisica a scuola.
Alle superiori spesso neanche quella, anche se non era assente l'interesse verso una certa cultura di movimento, che però non andava oltre al "vorrei ma non posso" e il "non sono capace" e che di fatto non si è mai concretizzato in alcuna scelta.

Con questo primo allenamento per la prima vera volta della mia vita sceglievo coscientemente di fare sport.

Da subito l'impatto è stato con la difficoltà.
I polmoni atrofizzati da anni di fumo e la mancanza totale di ritmo mi impedivano di correre per più di 8 minuti. Muscoli mai portati in allungamento mi limitavano in quei pochi movimenti che cercavo di replicare da video e tutorial.
Ad aiutarmi invece erano la resistenza maturata attraverso il lavoro, una discreta reattività muscolare e un'incredibile carica di ispirazione e ambizione.

Di quei primi mesi non parlerò nel dettaglio, coincidendo in parte con la nascita di questo blog. Ma parlerò di quella che è stata la trasformazione della mia vita e del mio umore in quel breve periodo.

Depressione e Parkour: la metamorfosi

A distanza di poco tempo avevo trovato un lavoro fulltime in un'azienda come responsabile marketing. Avevo una ragazza. Avevo dato una ridimensionata drastica a tutti i miei comportamenti negativi e praticavo Parkour regolarmente 3-4 volte a settimana, 8 ore a settimana.

Oltre a scoprire le mie nascoste abilità fisiche, quel mutamento profondo in atto nelle mie sinapsi aveva migliorato anche la mia creatività e iniziavo ad affacciarmi spontaneamente a una visione della pratica che timidamente definivo spirituale. In questo quadro la depressione, grazie al Parkour era quasi del tutto scomparsa.

Poi le cose, questa volta non per caso, cambiano. Il lavoro stava andando male. Mi trovavo male coi colleghi. Anche la relazione faceva acqua da tutte le parti. Istericamente cercavo di reagire con sovradosaggi di quella medicina che era il Parkour, causandomi i dovuti effetti collaterali e infine portandomi a un crack generale in un po' tutti i fronti.

Da qua una serie di eventi ampiamente descritti in questo blog, che mi hanno portato fuori dai confini italiani, al primo vero infortunio, a un abbandono temporaneo del Parkour. E infine al mio ritorno sulla scena, ai primi anni da insegnante, una sequela di grandi soddisfazioni e fastidiosi infortuni.

In tutto questo la depressione, protagonista di questo post, ciclicamente è sempre stata una costante mai del tutto assopita. Il Parkour il suo contraltare, inizialmente grandissima terapia, in seguito generalmente positivo ma non esente dall'essere fonte di trauma e malessere vario.
Ad ora non una cura definitiva, ma la prima di tante pietre posate verso un lento processo di guarigione.

Mi trovo difatti a scrivere su questo blog di questo argomento intimo e delicato per un motivo ben preciso. Gradualmente in questi ultimi anni ho trovato più stabilità psichica di quanta ne abbia avuta nei venti precedenti, avendo guadagnato di anno in anno periodi sempre più lunghi di quiete, fino al picco attuale di 6 mesi senza sintomo depressivo alcuno: la prima volta di un periodo così lungo dall'adolescenza!

Questo non significa che non abbia avuto difficoltà, mancanze e dolori in questo arco di tempo... bensì l'essere riuscito a conviverci senza quel senso schiacciante di futilità nel confronto di qualsiasi sforzo e di perdita di senso assoluta verso la vita nel suo complesso.

Scopo di ciò che scriverò in dettaglio non è certamente il vendere una cura miracolosa (specie per una patologia complessa che presenta vari stadi e diverse cause), piuttosto quello di condividere la mia esperienza su come il Parkour e i suoi differenti aspetti abbiano avuto influenza su questo stato di sofferenza mentale che è la depressione.
Sia per poter essere d'aiuto a chi ne ha bisogno, sia per mettere in guardia chi si avvicina rischiosamente a una mentalità e a una pratica che possano portare più malessere che beneficio.

Al prossimo post: Parkour Therapy? - Una guida

1 commento:

  1. Un uomo che ha affrontato i propri demoni senza nascondersi merita di essere chiamato uomo.

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