lunedì 10 gennaio 2011

Un salto nel vuoto

Non riesco a dormire, a letto ho troppo caldo, perciò ne approfitto per scrivere a riguardo di pensieri che da lungo tempo mi tormentano, anche se tra poche ore dovrò alzarmi per andare a lavoro.
Come amici e parenti già sanno, tra due-tre mesi il mio contratto attuale lavorativo scadrà e io probabilmente non lo rinnoverò. La scelta può sembrare egoista, se non pazza, considerando come va il mercato occupazionale attuale e quante già difficoltà c'erano, prima di questa crisi, nel mio settore che riguarda la grafica pubblicitaria. Rinunciando al mio attuale impiego, che dura da quasi un anno e mezzo tra contratti con agenzia e di prova con l'azienda stessa, mi taglio via la possibilità di un posto fisso, di uno stipendio da impiegato che per quanto miserabile è il meglio che un giovane impaginatore possa ambire in zona, alle ferie maturate dopo mesi di quasi totali rinunce, ad una sede decisamente a pochi chilometri da casa e sostanzialmente alla comodità di svolgere una mansione nella quale io sono unico responsabile ed esperto e nella quale non posso trovarmi in difficoltà di incompetenza. Gettare via tutto questo per un proverbiale salto nel vuoto, senza concrete prospettive lavorative future, senza idee fondamentalmente chiare, con lo spettro di ritornare alla tanto odiata manovalanza edile con mio padre, ma con un discreto "tesoretto" di risparmi costatomi numerose rinunce (che però non durerà a lungo con le spese di casa e tutto quello che gli va dietro) ed un modesto bagaglio d'esperienza, maturata in questi anni d'attività... 

Molti miei parenti esprimono perplessità a riguardo delle mie dichiarazioni, come già dimostrato non del tutto infondate, cercando poi di minimizzare i miei problemi, descrivendoli come "natura globale" di quello che sono un po' tutte le realtà lavorative, finendo poi di nuovo col esortarmi a non fare salti nel buio, a pensare ai sensi di colpa e allo stress che maturerò quando mi ritroverò disoccupato, alla frenetica ed ansiosa ricerca di una soluzione, alla svilente conseguenza di perdere la propria "relativa" indipendenza economica alla quale sono abituato da quasi 4 anni. Di certo altri dubbi che si aggiungono ai miei dubbi, la visione non è incoraggiante e temo anche il crollo di quella pianificazione attenta e fin troppo maniacale del mio tempo libero per sfruttarlo al meglio, a favore del ritorno di una pigrizia morbosa che mi attanaglia da sempre.

Ma perché rinunciare a tutto questo? 
I motivi sono numerosi quanto i dubbi, pesandoli sulla bilancia dell'indecisione: ho scoperto qual'è la realtà aziendale e ne sono profondamente disgustato, odio tutto quello che riguarda i rapporti tra datori e dipendenti, dal servilismo, allo sfruttamento, all'incapacità di incoraggiare, alla pretesa di acquistare una vita in cambio di denaro; ancor di più odio l'ignoranza politica e sociale di molti dei miei colleghi - che già troppe volte mi ha portato vicino allo scontro verbale - , l'arrendevolezza con la quale si sono dovuti adattare alla loro vita da servi - anche se ne capisco pienamente le motivazioni, ma dalle quali mi sento ancora estraneo -, la quasi totale mancanza, se non rinuncia, di passioni concrete che non siano semplici hobbies; non voglio più essere spettatore di insegnamenti vili quali "anche se sai che è una merda, se ti dicono che è buona devi mangiartela e sorridere" e infine voglio sentire la spinta di qualcosa che mi faccia tornare a crescere ed imparare, aggiornare la mia esperienza, che ormai si sta già fossilizzando.

Questi i motivi principali, uniti al poco tempo libero; alla comodità di avere un posto vicino a casa che con due ore di pausa pranzo ti obbliga a tornare e fare quattro volte lo stesso giro in una giornata -a discapito delle tasche (vedi costo della benzina), nonché al tempo stesso che risulta difficile da organizzare e sacrificato-; al fastidio per il modello doc di collega scaltro con le battute e cascamorto - così differente dal mio generalmente introverso -; alla scarsa soddisfazione che i titolari di un'azienda in crescita riescono a dare ai loro poveri muli; al tendenzialmente poco gusto di questi che li porta a scegliere spesso i peggiori tra i lay-out che gli propongo; all'aria pesante di beghe varie che grava là dentro; alle dimenticanze, o quantomeno confusioni, in busta paga che capitano non così poco spesso, e soprattutto ai numerosi periodi di poco lavoro grafico che mi hanno costretto a prestarmi a lavori di pura manovalanza del commerciale, spesso consistenti nel solo dover premere una sequenza di tre bottoni per giorni e giorni, condizioni che hanno gravato sul mio carico di stress portandolo a livelli di pura depressione nichilista che credevo ormai di aver sigillato, con conseguenze sui miei allenamenti, sulla mia vita affettiva, sul mio benessere fisico e molto altro.

In conclusione, non credo che questo salto nel vuoto sia del tutto senza serie motivazioni, ma come sempre le comodità della vita fanno vacillare di fronte al baratro... i miei allenamenti mi insegnano a saltare e superare il vuoto, ma di fronte ad un salto che ci rende insicuri, quando c'è la determinazione e la paura incombente - di rimanere schiavo di una vita che non si vuole, a fianco di persone nelle quali non ci si riconosce -, si può spingere a fondo eliminando l'insicurezza e avendo più possibilità di atterrare correttamente, ma quando non c'è tutto ciò, solo la coscienza di dover fare un salto per poter progredire, la mente trema pensando a tutti i rischi che si corre, l'idea di lanciarsi può soccombere rifugiandosi nelle recenti soddisfazioni - la scelta di un lay-out che piace anche a me, un carico di lavoro giusto che mi tiene sempre occupato, la tranquillità di un periodo che ha "regalato" ferie -; da qui buttarsi potrebbe essere un disastro, un tentativo impacciato di volare che potrebbe essere tragica fonte di dolori e pentimenti...

Ed io riuscirò ad atterrare o mi schianterò miseramente al suolo? Ma soprattutto, troverò il coraggio che mi serve per fare questo salto?

2 commenti:

  1. My 2 cents;
    paragoni questa tua scelta a un salto, come quelli che normalmente fai in allenamento, ma rifletti: quando ti trovi di fronte a un movimento nuovo, hai tutte queste incertezze? Se tu ti trovassi a fare un precision a una grande altezza, vuoi dirmi che salteresti senza sentirti pronto? senza sapere se le tue gambe possono spingere fin li? senza sapere se sei in grado di gestire l'atterraggio? Non ti dico di non saltare, anzi, le tue motivazioni sono le stesse che hanno portato me a saltare, in passato, quello che ti dico è ASPETTA. Formati un'idea, trova un'alternativa, trova un progetto in cui saltare, e quando sei pronto salta. Vedrai che il buco sotto di te importerà molto meno, perchè il salto è corto, il punto di arrivo è ampio e asciutto, e saprai di essere perfettamente in grado di atterrare preciso, pulito e silenzioso.

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  2. Posso darti ragione, il problema è che so che aspettando e rinnovando il contratto la mia indecisione aumenterà e diminuirà il coraggio di tentare il salto. È stato così anche nel precedente lavoro, sono arrivato a saltare "grazie" alla crisi che ha rallentato così tanto il lavoro da darmi la spinta a cambiare. Per me quel limite di tre mesi è il momento giusto per fare il salto, dopo so che prevarrà più un senso di rinuncia che altro... Ho tempo poco meno di tre mesi per aspettare e valutare, ho una proposta molto interessante sotto le mani ma della quale debbo valutarne i rischi, è un precision da 10 piedi spaccacaviglie, seguirò il tuo consiglio di aspettare ma solo in questo lasso di tempo, per prepararmi perlomeno a saper cadere se non riuscirò ad atterrare correttamente.

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