lunedì 23 maggio 2011

Meditazione

Tra i vari souvenir che mi sono portato a casa dal Parkour Meeting di Milano dello scorso marzo, nota di merito va senza ombra di dubbio alla sessione meditativa-distensiva tenutasi a fine allenamento del primo giorno sotto la direzione di Stephane Vigroux. In maniera assolutamente profana e disinformata oserei definire la seduta come Yoga: i passaggi da seguire molto semplici, classica posizione a gambe incrociate e mani raccolte, regolarizzazione del respiro e progressiva distensione muscolare, chiusura degli occhi e concentrazione su un movimento che si è eseguito in giornata e si vuole perfezionare. Successivamente si prosegue nel tentativo di svuotare la mente - il che non equivale a dire "smetto di pensare", bensì a perdere gradualmente la concentrazione su ogni singolo pensiero, lasciandolo dissolversi autonomamente -, facendo sempre attenzione a mantenere il corpo rilassato e il respiro regolare, passando poi per uno stadio nel quale si cerca di fondere il proprio io con l'ambiente circostante e infine concludendo con il risveglio

Fin qui nulla di nuovo o particolarmente eclatante che non si sia già accomunato alla varia paccottiglia new-age e/o orientalista alla quale siamo abituati ormai quotidianamente, eppure questo passaggio è entrato pienamente a far parte della mia routine di allenamento, in conclusione dopo una buona seduta di stretching. Per quale motivo? Nella forma più immediata mi offre la capacità di rilassare totalmente la muscolatura e di riprendere un ritmo cardiaco normale, grazie a ciò (non so esattamente per quali meccanismi anatomici) i tempi di recupero si accorciano notevolmente e riesco ad eliminare buona parte della stanchezza del carico effettuato, permettendo di allenarmi il giorno successivo con la stessa intensità. Ma anche l'azione che ha sulla mente è notevole, sebbene in misura molto più ridotta, dato che vedo piccoli miglioramenti su movimenti che da lungo allenavo e non riuscivo a perfezionare nonostante le continue ripetizioni.

Vicino a questo tema è il cosiddetto training autogeno, che da anni conosco e pratico con esercizi base in maniera superficiale e altamente incostante... Il fascino che queste pratiche esercitano in termini di aumento della propriocezione è però affiancato alla paura dei rischi anche gravi che si possono intercorrere a livello psico-motorio. A questo punto potrei dire di aver raggiunto una certa stabilità con le sedute meditative precedentemente esposte, ma non mi basta, voglio andare oltre e perciò inizio ad implementare queste in vari momenti della giornata, portandole in una direzione più "buddista", rivolte a qualcosa che oltrepassi le barriere del proprio Io.

Ho constatato che la concentrazione è il fattore determinante di questa attività, è la parte che più ti eleva isolandoti dalla realtà, mettendoti di fronte al tuo obbiettivo e nient'altro intorno. Alcuni noteranno una certa spiritualità in questo stato di coscienza, quindi si può dire che nell'allenarsi, disegnare, suonare, lavorare o ovunque laddove l'attenzione sia stimolata fino a raggiungere livelli altissimi, si può trovare qualcosa di ascetico ed elevatorio, eppure c'è sempre un legame strettamente terreno che ci limiterà in questo ad una semplice conseguenza di quello che facciamo. 
È per questo che ho deciso di dedicarmi in minima parte ad un'azione che sia rivolta unicamente al mio Io e non all'iterazione col mondo... 
Se da una parte c'è un'ingenua praticità volta in termini di guadagno di rilassamento, conciliazione del sonno, propriocezione, dall'altra c'è la necessità forte come mai prima d'ora di riordinare la mia testa, migliorare la mia persona e la mia presenza nel mondo, raggiungere  stadi di coscienza superiori e magari ambire ingenuamente al raggiungimento di un qualche Nirvana.

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