martedì 16 febbraio 2021

Parkour Therapy? - Una guida: Parte III

 Precede: Depressione & Parkour e Parkour Therapy? - Una guida: Parte I e II

PARKOUR E DEPRESSIONE - LE PRATICHE COMPLEMENTARI:

Con questo capitolo giungo infine alla conclusione di questa "guida" alla Parkour Therapy, descrivendo due delle pratiche di fondamentale aiuto nel minimizzare l'impatto negativo della depressione nella mia vita (ed apparentemente a guarirne) e alle quali sono arrivato tramite le arti di movimento alle quali mi dedico.

Scrivo apparentemente perché so bene che la mia mancanza di competenze professionali e di strumenti diagnostici può fare sembrare naïf una qualsiasi pretesa di aver trovato una cura ad una malattia complessa in maniera pressoché autonoma.

Il fatto innegabile è che allo stato attuale sto bene e in maniera stabile, nonostante la maggior parte dei problemi legati alla mia vita (dal lavoro, alle relazioni, all’abitazione) siano ancora là ad affliggermi. È semplicemente cambiato il mio approccio a questi, è scomparsa la voglia di non mettere il naso fuori dal letto al mattino, per non dovermici confrontare ogni giorno. La voce che vuole sottolineare l'inutilità di tutti i miei sforzi, in qualunque direzione, è perlopiù silenziosa e le avversità le vivo senza catastrofismi e tutta l'angoscia di prima.

 

Pretesa o no che sia, non è stato facile. Sintetizzare tutto il processo di un decennio in una breve guida ha il valore che ha, rispetto agli sforzi da mettere in campo, agli errori da compiere e alle ricadute che un individuo deve affrontare per poter giungere ad una risoluzione positiva dei propri conflitti.

Qualcuno potrebbe dire che con un buon professionista non avrei dovuto "buttare" un decennio per risolvere qualcosa che avrei potuto sistemare in pochi mesi. Ma di fatto è così facile trovare quel professionista giusto per noi? Hanno tutti le risorse per poter essere seguiti ed aiutati? Un aiuto esterno in certi ambiti non rischia di renderci dipendenti da chi ci dà la cura?
Sappiamo bene di cosa stiamo parlando, perché questo argomento è lo stesso che riguarda l'allenamento, l'alimentazione, la riabilitazione e qualsiasi altro campo in cui ci sia utile un esperto per migliorare.

Eppure l'aspetto più bello di tutto questo è che coscientemente questo risultato non me lo sono cercato, in quel esatto momento in cui mi son calato in questa disciplina. Ho seguito questo percorso perché mi è stato naturale e perché è sorta una forte passione, e in questo ho casualmente trovato delle chiavi per aprire delle porte del mio benessere, prima sigillate.

E in tutto questo ho imparato tantissimo, fatto esperienze incredibili e conosciuto persone straordinarie; per cui comunque un decennio della mia vita non è stato "buttato", a dispetto di cosa possa dire il pragmatismo più feroce della nostra società.

La cosa più naïf che possa fare è il credere che questo benessere sia venuto solo dallo stabilire una relazione equilibrata col Parkour, non dall'età più matura in cui sono (che ha portato ad una risoluzione autonoma di molti dei miei conflitti interiori) e dal miglioramento di altri aspetti della mia vita.
Quali quello dello studio e della ricerca, nella vita e nelle opere di artisti e filosofi di ogni sorta, di quelle verità "utili" sull'arte dell'esistere (psicanalisi di C. G. Jung su tutti), non sempre di pubblico dominio.

Ancor più ingenuo è credere che questo benessere non sia uno stato momentaneo da preservare e sul quale vigilare costantemente, talvolta anche da testare fuori dalla zona di comfort per capire se sia fittizio o meno.

Come avete ormai capito amo i lunghi preamboli, ma è ora di concludere questa parte (ormai protagonista del post stesso) e di andare a vedere quali siano queste pratiche complementari a quella del Parkour/ADD/Freerunning e come di fatto rivestano un ruolo così determinante per il mio benessere.


- Allenamento della forza

Nella pratica del Parkour, allenare la forza generale del mio corpo non è stato solo un'"espediente" per migliorare la propria performance, ma in larga scala il Parkour stesso. In questo campo i primi anni di pratica sono stati dedicati alla resistenza sfibrante e dolorosa alternata alla gestione "a cazzo" di carichi intensi, della quale non sempre il mio corpo ha beneficiato, ma che di sicuro sono stati fucina per un lavoro in divenire più mirato e consapevole.

Quando ho iniziato a sperimentare i primi lavori con sovraccarichi e a delineare una programmazione rudimentale ma ben definita nelle fasi e negli obbiettivi, per l'incremento dei miei livelli massimi di forza, mi ci son dovuto approcciare con cautela, al fine di minimizzare l'impatto sugli infortuni già presenti e la possibile insorgenza di nuovi, dettati dalla mia inesperienza.

Sebbene le cazzate e gli errori anche qui non si contino, grazie ad un intenso nerding e alla frequentazione di
persone studiose (se non addirittura competenti), dalle quali raccogliere consigli e pareri, per la prima volta nella mia vita ho iniziato a sperimentare cosa volesse dire crescere in maniera graduale e controllata, con i giusti picchi di lavoro ed intervalli di recupero, in un processo sempre monitorabile e decisamente più sostenibile dei mix letali ed incostanti ai quali mi sottoponevo in precedenza.


Ma torniamo al tema portante: perché questa pratica ha in me rivestito
un ruolo così terapeutico nei confronti della depressione?

Di sicuro nell'avermi fatto sperimentare i livelli più alti di auto-disciplina di cui fossi al tempo capace, specie nell'ottica della costanza e del no excuses (della cui importanza mi sono dilungato nei precedenti post).
Poi avendomi abituato alla gestione (ordinaria e non) della vita con livelli di fatica sempre più elevati.
In maggiore misura per avermi riabilitato da infortuni storici apparentemente inguaribili, ripristinando efficienti linee di forza e permettendomi risultati atletici di cui non mi reputavo più capace.

MA SOPRATTUTTO per quel lavoro neurale che esplode quando si iniziano a gestire carichi molto intensi in maniera progressiva, di fatto "forando" le soglie precedenti di carico.

Non parlo solamente dell'impatto psicologico del contrastare la gravità al suo peggio e dello spingere per risalire col mondo sulle spalle a schiacciarvi (per fare l'esempio del backsquat).

Parlo di qualcosa di più in larga scala. Che assomiglia al breaking jump ma che non lo è. Che coinvolge ormoni, intensa vascolarizzazione, "freschezza" e lucidità mentale e la sensazione potente di nuove connessioni neurali che si sono create a migliorare mappe motorie e a ottimizzare il funzionamento di tutto il nostro essere, mente e corpo.

Un processo che stimola al massimo i nostri processi adattativi intrinsechi e che ci fa dire, dal profondo della nostra biologia, "io sono vivo e voglio esistere!". Non lasciando di fatto alcuno spazio alla tetra pulsione alla resa e all'auto-estinzione, che caratterizza nel profondo la depressione.


- Meditazione

Alla meditazione sono arrivato già nel 2011 grazie a Stéphane Vigroux. Passato il grande entusiasmo iniziale, ho perseguito questa via sporadicamente per quasi un decennio. Fino a quando l'anno scorso mi ci sono riapprocciato con maggiore attenzione, decidendo di renderla elemento fisso della mia vita, con cui iniziare ogni giornata, e di dedicarci alcuni brevi studi essenziali, al fine di non perdermi in questo terreno gigantesco da me poco esplorato.

Perché il campo della meditazione è veramente vasto e si affaccia direttamente a quel grande contenitore del conscio e dell’inconscio, delle nostre personalità e dei nostri desideri che è l'Io.
Senza neanche delle semplici linee guida, affrontare questa pratica in autonomia è paragonabile all'imparare a guidare un'auto completamente da zero, senza maestri né istruzioni. Il solito percorso da autodidatta con tutto ciò che consegue in errori, facili plateau e possibili abbandoni, ma anche maggiore abilità di apprendere in maniera veloce e funzionale.

Se quindi un po' di studio (per calibrare a nostro favore l'essere maestri di sé stessi) ci può risultare quasi un obbligo, riuscire a stabilire degli obiettivi è altrettanto fondamentale, non essendoci una direzione univoca alla quale ambire ma una vasta gamma di possibilità a volte in conflitto tra di loro... proprio come in una pratica "aperta" come quella del Parkour, ma in ambito prettamente metafisico.

Fissarsi un vago e generico raggiungere l'illuminazione può risultare facilmente uno dei vari modi con cui prenderci in giro, se non affrontiamo il percorso con serietà, severo studio e magari cercando un maestro competente.

A seguito di tentativi ed indagini su di me e sul mio bisogno di limitare l'impatto negativo della mente sulla mia persona, i miei obbiettivi si sono dunque rivelati essere i seguenti:

- limitare il flusso dei pensieri nevrotici (overthinking), calandomi di più nel presente del "qui ed ora";
- rendersi consapevoli dei meccanismi che stanno dietro i propri modi di agire e pensare, maturando distaccamento da tutte le forme mentali avverse che popolano la propria personalità;
- fare emergere la propria identità più profonda e reale, sepolta da strati di spazzatura mentale, attingendone energia e creatività, oltre che una conoscenza globale di sé stessi più estesa.



Anche questo lavoro ovviamente non è facile. Apparentemente senza un maestro nella filosofia buddista non si può giungere al Nirvana, ma anche solo concentrarsi sul respiro e svuotare la mente non è cosa semplice da farsi in autonomia. Aggiungeteci l'ostacolo della postura, dopo pochi minuti decisamente dolorosa se non si possiede già una mobilità specifica molto buona.

Il mio primo tentativo di meditazione quotidiana per un periodo ininterrotto si è risolto da una grande enfasi iniziale ad un periodo di altissimo stress e latente rabbia esplosiva, dal quale ho desistito, dedicandomi subito allo studio di qualche metodo in maniera più approfondita e ritentando un mese dopo, con maggiore chiarezza ed avvicinandomi infine alla direzione ricercata.

Ad ora questo della meditazione si è rivelato uno degli strumenti più efficienti di autoanalisi e di adozione di uno stato mentale sereno e produttivo. Nonostante sia conscio dei grandi limiti del non avere una guida vera e propria (e dell'aver raggiunto già una sorta di stallo), l'interesse e la fiducia in questa pratica come mezzo, che già mi ha portato ad un livello impensato di stabilità psichica e pensiero pulito, non può altro che rinforzare la mia volontà di dedicarci ancora a lungo l'attenzione e lo studio che merita.

RIASSUNTO  o Tl;Dr

Siete arrivati fin qui? Complimenti! La lunghezza e talvolta pesantezza di questa guida di certo non è stata facile lettura. Tuttavia se siete qua è perché cercate qualcosa di utile a voi stessi e non è detto che qualcuno voglia
sempre rendere il compito facile!

Tuttalpiù che queste considerazioni sono costate di più che pensieri occasionali, ma anni di tentativi, errori ed osservazioni... questo è anche un buon reminder che il processo di miglioramento, dopo che si estrapola la "nozione" dall'esperienza altrui, è una strada tutta in salita.

Non mi risparmio comunque un riassuntino semplice ed immediato a chiudere questa piccola guida:

Usiamo ciò che facciamo per volerci bene, ma impariamo anche a riconoscere ed accettare ciò che di male ci può causare.
Prendiamolo come strumento per imparare a vivere, anziché come rifugio per nasconderci dalla vita.
E non confondiamo un farmaco che allevia i sintomi della malattia con la sua cura definitiva!



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