Quella del titolo è una domanda che spesso sento rivolgere a chiunque pratichi una disciplina/sport al di fuori dell'ambito hobbistico, me compreso. Mia intenzione non è di certo di rispondere a questa domanda, bensì di prendere l'argomento alla larga per parlare della mia esperienza personale nel Parkour / Art du Déplacement / Movimento e di come il mio approccio sia evoluto lungo gli anni, magari fornendo qualche spunto succoso per migliorare il VOSTRO, di allenamento.
Come su tutto (o quasi) più tempo dedichiamo ad una determinata cosa, più dovremmo maturare esperienza ed abilità in tale campo specifico. Verità è che se in una settimana maturiamo un cumulo di ore facendo tale cosa, quelle ore sono subordinate a così tante variabili che non è detto il risultato sia pari per due o più soggetti di pari abilità e potenziale di partenza, che si esercitano nella stessa cosa.
Per chi come me è cresciuto nel dogma del "fare tanto", che unisce parte del mindset determinato - tipico di certe pratiche - all'aver scelto questa vita - e del dover quindi giustificare a me stesso e alla mia cultura d'origine di essere un mulo da soma -, l'aspetto quantitativo, di quanto tempo si dedica ad una certa cosa e di quanta fatica si fa in una certa direzione, è sempre stato uno dei pilastri di riferimento e delle vette alle quali ambire.
Se l'aver dedicato una notevole quantità di tempo a
ciò che mi appassiona è stata effettivamente la cosa che mi
ha permesso di migliorare visibilmente su tanti aspetti e coltivare
tanti obbiettivi contestuali, la mia esperienza attuale mi dice che
quelle ore non sempre sono state utili alla mia
crescita.
Ora per togliere mistero di quali elementi
influenzino la fruttuosità di queste ore, ecco un breve
elenco delle variabili principali. Che non descriverò in
dettaglio ma alle quali abbinerò delle domande-chiave:
-
DENSITÀ (Quante cose hai fatto in quell'ora di allenamento? Quanto
sei stato concentrato? Quanto hai cazzeggiato?)
- FREQUENZA
(Quanto spesso ti sei allenato? Come hai distribuito quelle ore? In
quali fasce hai ripetuto un determinato gesto?)
- QUALITÀ
(Quanta attenzione hai dato al gesto eseguito? Il metodo che hai
utilizzato è stato utile a migliorare? Sei arrivato al risultato
desiderato?)
- RECUPERO (Quanto eri stanco -prima, durante,
alla fine- di in un determinato lavoro? Come hai dormito? Cosa hai
mangiato e quanto?)
Se vi allenate seriamente, prima o
poi vi porrete queste domande, e vi sarà facile identificare le
variabili di cui sopra ed intuirne la loro influenza.
Ora,
prima che volino ceffoni dai tecnici del settore e mi si accusi
(giustamente) di disonestà intellettuale, addentrandomi in
terminologie troppo tecniche che poco si addicono alla mia
formazione da "nerd", ricchissima di lacune di base
(non sono un scienze motorie né ho certificazioni specifiche che non
riguardino il solo insegnamento dilettantistico), voglio: 1 precisare
che non sto parlando in maniera specifica di allenamento della
forza o bodybuilding; 2 prendere l'argomento dal punto di
vista per me più onesto, ossia quello del "Praticante".
Cos'è il Praticante?
"Il Praticante è un esploratore. Si crede un atleta, ma spesso è troppo cazzone per esserlo. È un buffone ma sa cosa vuol dire la serietà. Sa curarsi (male) con le sue mani. Ma soprattutto è guidato da una fortissima curiosità e voglia di vedere oltre il proprio naso e i propri limiti. E odia i programmi."
Quello del praticante è un argomento che tratterò a fondo con un post dedicato, evidenziando in special modo le differenze con l'atleta e il perché questa parola è così forte nell'identità di chi ha vissuto il Parkour in una certa epoca.
In attesa che ciò
avvenga, quello che dovete sapere di importante di questa figura -
nella quale identifico me e molti altri compari - è la dedizione
ad una certa arte o per l'appunto "pratica" che mal
si presta ad una pianificazione maniacale.
Se da un lato
c'è il desiderio di crescere, esplorare, di superare i propri limiti e
l'effettiva volontà, ed impegno, nel conseguire certi obbiettivi,
dall'altro c'è la disorganizzazione, la noia verso percorsi e
metodi prestabiliti, rodati (e quasi sicuramente funzionanti), la
tendenziale difficoltà ed indisciplina nell'entrare in routine
meccaniche.
Nella mia esperienza entrare in modalità di allenamento estremamente ripetitive è stato faticoso sin dall'inizio; ogni fuga momentanea una salvezza. Allo stesso tempo si è rivelato sia una medicina non troppo amara per sistemare forti debolezze, sia uno strumento concreto per ottenere risultati tangibili nel mio allenamento (e nella vita). E che soprattutto ha rinforzato l'idea sempre di grande valore del:
"Per poter fare ciò che ti piace prima o poi devi fare anche ciò che non ti piace"
Ottenuti certi risultati è tornato però un
problema evidente, legato all'essere un Praticante:
Quello
di essere un cazzone.
Che preferisce fare challenge
di volumi atroci di ripetizioni un giorno al mese, piuttosto che la
stessa cosa 10 ripetizioni al giorno ogni giorno*. Che ricerca ogni
volta sempre un'esperienza nuova anziché formulare
strategie per diventare più esperto. E che puntualmente ripiomba
nei limiti di un qualcosa, che oltre una certa soglia e al presentarsi
di certe problematiche (infortuni, debolezze, stallo), di
strategia ne necessita eccome . Tutto ciò che invece
appartiene ad un ATLETA.
*Ok,
so che non tutti i praticanti si riconosceranno in questo, ma
oggettivamente, specie tra i pionieri della propria
città/regione/nazione quanto non è verosimile questa descrizione?
Su questa base, dopo aver sperimentato per alcuni anni periodi specifici di allenamento della forza, assemblando programmi con le mie conoscenze più o meno basilari, sbagliando e correggendo di volta in volta, ottenendo grossi risultati ma soprattutto FATICANDO COME UN MULO, sono arrivato ad un punto in cui:
- a) mi è più facile sottostare a delle routine
-
b) non sopporto più di lavorare in maniera troppo serrata con
un programma
O meglio. Non mi piace dedicarci più quella
quantità di tempo ed energie assurda che ci dedicavo
per quei 4 mesi all'anno, in cui quasi non riuscivo ad uscire a
saltare (con conseguenti perdite da quel lato). Non mi piace l'essere
vincolato in maniera così stretta ad uno schema con tot fasi
e tot obiettivi. E mi piace ancora meno l'idea di diluire quel lavoro
di 4 mesi nell'arco di 12.
Però mi è necessario.
Da una parte quindi me la sono messa via ed alcune cose sono diventate elementi fissi (specie mobilità, verticali e riabilitazioni varie), dall'altra invece sono sempre più orientato verso un approccio ibrido, che unisca i diversi aspetti vitali della mia pratica.
Ora prima di spiegare in dettaglio cosa intendo con ibrido, vi introduco un'altra variabile che ho tralasciato dalle precedenti:
- FUORI COMFORT
(Hai superato di un po' i tuoi limiti? Ti sei esposto ad una difficoltà maggiore? Hai provato paura?)
Ora:
cos'è questo approccio ibrido?
Di certo NON è uno strumento che può sostituire la
completezza e la qualità di risultati di un buon programma
d'allenamento strutturato su di voi.
Piuttosto una modalità sia
per avvicinare chi è allergico al concetto di routine - e
necessita di migliorare in un qualche aspetto specifico -, sia per
coloro che hanno già dimestichezza ed esperienza con allenamenti
programmati ma che vogliono limitare al minimo questi, mirando
piuttosto a mantenere un corpo ed abilità sempre
pronti per l'avventura.
In come si differenzia dal "allenamento alla
cazzo dove faccio le solite 2-3 cose"?
Implementando
il concetto di fuori comfort. Che richiede quella ripetizione in più
(o quella un po' più difficile, paurosa od intensa che sia) ad ogni sessione di allenamento.
Stabilendo un numero (ragionevole) di ripetizioni settimanali di
quella tecnica che abbiamo stabilito di lavorare per un dato
periodo.
Nutrire questo approccio richiede soprattutto onestà.
Come qualsiasi tipo di allenamento le cose da allenare devono essere
ragionevolmente proporzionate al tempo che abbiamo a
disposizione e al nostro stato di salute, se non vogliamo trovarci
con un pugno di mosche in mano. Ancor di più l'intensità
(l'entità dei carichi) con la quale lavoriamo deve essere ben adatta
alle nostre capacità e a questa modalità di lavoro per evitare
tragici epiloghi.
I tragici epiloghi? |
Serve quindi eliminare l'idea di ASPETTATIVA legata ad un obbiettivo, quale può essere di tirare su un quantitativo specifico di pesi o di giungere ad una certa skill o variabile di tecnica particolarmente complessa.
DA DOVE INIZIO?
Sei fuori forma e non hai una routine? Trovati qualcosa che puoi fare con semplicità (dei piegamenti, dei volteggi, delle tenute isometriche), stabilisci un numero ragionevole** di ripetizioni, le volte in cui ripeterlo (o il tempo che vuoi dedicarci) e trova il modo di renderlo più difficile ad ogni sessione, senza dimenticare un lavoro a metà una tantum.
Sei esperto ma infortunato? Dai priorità alle tue debolezze e struttura il tuo approccio ibrido sulla riabilitazione.
Sei un PRO ma non hai più il tempo di prima? Trova un obbiettivo giusto che dia il massimo guadagno con il minor dispendio possibile di tempo. Se vuoi arrivare ad 1 min. di verticale da 0 magari no, perlomeno non da solo.
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