sabato 19 dicembre 2020

MA TU QUANTO TI ALLENI?

Quella del titolo è una domanda che spesso sento rivolgere a chiunque pratichi una disciplina/sport al di fuori dell'ambito hobbistico, me compreso. Mia intenzione non è di certo di rispondere a questa domanda, bensì di prendere l'argomento alla larga per parlare della mia esperienza personale nel Parkour / Art du Déplacement / Movimento e di come il mio approccio sia evoluto lungo gli anni, magari fornendo qualche spunto succoso per migliorare il VOSTRO, di allenamento.

Come su tutto (o quasi) più tempo dedichiamo ad una determinata cosa, più dovremmo maturare esperienza ed abilità in tale campo specifico. Verità è che se in una settimana maturiamo un cumulo di ore facendo tale cosa, quelle ore sono subordinate a così tante variabili che non è detto il risultato sia pari per due o più soggetti di pari abilità e potenziale di partenza, che si esercitano nella stessa cosa.

Per chi come me è cresciuto nel dogma del "fare tanto", che unisce parte del mindset determinato - tipico di certe pratiche - all'aver scelto questa vita - e del dover quindi giustificare a me stesso e alla mia cultura d'origine di essere un mulo da soma -, l'aspetto quantitativo, di quanto tempo si dedica ad una certa cosa e di quanta fatica si fa in una certa direzione, è sempre stato uno dei pilastri di riferimento e delle vette alle quali ambire.

Se l'aver dedicato una notevole quantità di tempo a ciò che mi appassiona è stata effettivamente la cosa che mi ha permesso di migliorare visibilmente su tanti aspetti e coltivare tanti obbiettivi contestuali, la mia esperienza attuale mi dice che quelle ore non sempre sono state utili alla mia crescita.

Ora per togliere mistero di quali elementi influenzino la fruttuosità di queste ore, ecco un breve elenco delle variabili principali. Che non descriverò in dettaglio ma alle quali abbinerò delle domande-chiave:

- DENSITÀ (Quante cose hai fatto in quell'ora di allenamento? Quanto sei stato concentrato? Quanto hai cazzeggiato?)

- FREQUENZA (Quanto spesso ti sei allenato? Come hai distribuito quelle ore? In quali fasce hai ripetuto un determinato gesto?)

- QUALITÀ (Quanta attenzione hai dato al gesto eseguito? Il metodo che hai utilizzato è stato utile a migliorare? Sei arrivato al risultato desiderato?)

- RECUPERO (Quanto eri stanco -prima, durante, alla fine- di in un determinato lavoro? Come hai dormito? Cosa hai mangiato e quanto?)

Se vi allenate seriamente, prima o poi vi porrete queste domande, e vi sarà facile identificare le variabili di cui sopra ed intuirne la loro influenza.

Ora, prima che volino ceffoni dai tecnici del settore e mi si accusi (giustamente) di disonestà intellettuale, addentrandomi in terminologie troppo tecniche che poco si addicono alla mia formazione da "nerd", ricchissima di lacune di base (non sono un scienze motorie né ho certificazioni specifiche che non riguardino il solo insegnamento dilettantistico), voglio: 1 precisare che non sto parlando in maniera specifica di allenamento della forza o bodybuilding; 2 prendere l'argomento dal punto di vista per me più onesto, ossia quello del "Praticante".

Cos'è il Praticante?

"Il Praticante è un esploratore. Si crede un atleta, ma spesso è troppo cazzone per esserlo. È un buffone ma sa cosa vuol dire la serietà. Sa curarsi (male) con le sue mani. Ma soprattutto è guidato da una fortissima curiosità e voglia di vedere oltre il proprio naso e i propri limiti. E odia i programmi."

Quello del praticante è un argomento che tratterò a fondo con un post dedicato, evidenziando in special modo le differenze con l'atleta e il perché questa parola è così forte nell'identità di chi ha vissuto il Parkour in una certa epoca.

In attesa che ciò avvenga, quello che dovete sapere di importante di questa figura - nella quale identifico me e molti altri compari - è la dedizione ad una certa arte o per l'appunto "pratica" che mal si presta ad una pianificazione maniacale.
Se da un lato c'è il desiderio di crescere, esplorare, di superare i propri limiti e l'effettiva volontà, ed impegno, nel conseguire certi obbiettivi, dall'altro c'è la disorganizzazione, la noia verso percorsi e metodi prestabiliti, rodati (e quasi sicuramente funzionanti), la tendenziale difficoltà ed indisciplina nell'entrare in routine meccaniche.

Nella mia esperienza entrare in modalità di allenamento estremamente ripetitive è stato faticoso sin dall'inizio; ogni fuga momentanea una salvezza. Allo stesso tempo si è rivelato sia una medicina non troppo amara per sistemare forti debolezze, sia uno strumento concreto per ottenere risultati tangibili nel mio allenamento (e nella vita). E che soprattutto ha rinforzato l'idea sempre di grande valore del:

"Per poter fare ciò che ti piace prima o poi devi fare anche ciò che non ti piace"

Ottenuti certi risultati è tornato però un problema evidente, legato all'essere un Praticante:

Quello di essere un cazzone.


Che preferisce fare challenge di volumi atroci di ripetizioni un giorno al mese, piuttosto che la stessa cosa 10 ripetizioni al giorno ogni giorno*. Che ricerca ogni volta sempre un'esperienza nuova anziché formulare strategie per diventare più esperto. E che puntualmente ripiomba nei limiti di un qualcosa, che oltre una certa soglia e al presentarsi di certe problematiche (infortuni, debolezze, stallo), di strategia ne necessita eccome . Tutto ciò che invece appartiene ad un ATLETA.

 *Ok, so che non tutti i praticanti si riconosceranno in questo, ma oggettivamente, specie tra i pionieri della propria città/regione/nazione quanto non è verosimile questa descrizione?

Su questa base, dopo aver sperimentato per alcuni anni periodi specifici di allenamento della forza, assemblando programmi con le mie conoscenze più o meno basilari, sbagliando e correggendo di volta in volta, ottenendo grossi risultati ma soprattutto FATICANDO COME UN MULO, sono arrivato ad un punto in cui:

- a) mi è più facile sottostare a delle routine
- b) non sopporto più di lavorare in maniera troppo serrata con un programma

O meglio. Non mi piace dedicarci più quella quantità di tempo ed energie assurda che ci dedicavo per quei 4 mesi all'anno, in cui quasi non riuscivo ad uscire a saltare (con conseguenti perdite da quel lato). Non mi piace l'essere vincolato in maniera così stretta ad uno schema con tot fasi e tot obiettivi. E mi piace ancora meno l'idea di diluire quel lavoro di 4 mesi nell'arco di 12.

Però mi è necessario.

Da una parte quindi me la sono messa via ed alcune cose sono diventate elementi fissi (specie mobilità, verticali e riabilitazioni varie), dall'altra invece sono sempre più orientato verso un approccio ibrido, che unisca i diversi aspetti vitali della mia pratica.

Ora prima di spiegare in dettaglio cosa intendo con ibrido, vi introduco un'altra variabile che ho tralasciato dalle precedenti:

- FUORI COMFORT

(Hai superato di un po' i tuoi limiti? Ti sei esposto ad una difficoltà maggiore? Hai provato paura?)

Ora:

    cos'è questo approccio ibrido?

Di certo NON è uno strumento che può sostituire la completezza e la qualità di risultati di un buon programma d'allenamento strutturato su di voi.
Piuttosto una modalità sia per avvicinare chi è allergico al concetto di routine - e necessita di migliorare in un qualche aspetto specifico -, sia per coloro che hanno già dimestichezza ed esperienza con allenamenti programmati ma che vogliono limitare al minimo questi, mirando piuttosto a mantenere un corpo ed abilità sempre pronti per l'avventura.

In come si differenzia dal "allenamento alla cazzo dove faccio le solite 2-3 cose"?

Implementando il concetto di fuori comfort. Che richiede quella ripetizione in più (o quella un po' più difficile, paurosa od intensa che sia) ad ogni sessione di allenamento. Stabilendo un numero (ragionevole) di ripetizioni settimanali di quella tecnica che abbiamo stabilito di lavorare per un dato periodo.

Nutrire questo approccio richiede soprattutto onestà. Come qualsiasi tipo di allenamento le cose da allenare devono essere ragionevolmente proporzionate al tempo che abbiamo a disposizione e al nostro stato di salute, se non vogliamo trovarci con un pugno di mosche in mano. Ancor di più l'intensità (l'entità dei carichi) con la quale lavoriamo deve essere ben adatta alle nostre capacità e a questa modalità di lavoro per evitare tragici epiloghi.


I tragici epiloghi?

Per questa sua natura è una modalità che non si presta ad obbiettivi specifici, bensì ad obbiettivi generici. Come può essere pulire un movimento acrobatico. O mantenere un generale livello di forza negli arti inferiori. O guadagnare una maggiore stabilità di core.

Serve quindi eliminare l'idea di ASPETTATIVA legata ad un obbiettivo, quale può essere di tirare su un quantitativo specifico di pesi o di giungere ad una certa skill o variabile di tecnica particolarmente complessa.

L'unico vero obbiettivo che dobbiamo portarci a casa è quello di aver svolto il nostro dovere ogni settimana. Sembra banale ma l'idea di avere un obbiettivo fisso da seguire anche solo una volta a settimana e da evolvere in un arco di tempo più lungo, non è affatto scontata per chi non si è mai allenato in autonomia stabilendo una routine o con un programma.

DA DOVE INIZIO?

Dal tuo livello d'esperienza e di fitness ATTUALE.

Sei fuori forma e non hai una routine? Trovati qualcosa che puoi fare con semplicità (dei piegamenti, dei volteggi, delle tenute isometriche), stabilisci un numero ragionevole** di ripetizioni, le volte in cui ripeterlo (o il tempo che vuoi dedicarci) e trova il modo di renderlo più difficile ad ogni sessione, senza dimenticare un lavoro a metà una tantum.

Sei esperto ma infortunato? Dai priorità alle tue debolezze e struttura il tuo approccio ibrido sulla riabilitazione.

Sei un PRO ma non hai più il tempo di prima? Trova un obbiettivo giusto che dia il massimo guadagno con il minor dispendio possibile di tempo. Se vuoi arrivare ad 1 min. di verticale da 0 magari no, perlomeno non da solo.

Concludo con una considerazione finale, che è la domanda che talvolta si abbina a quella del titolo. A CHE PRO? Ricordatevi che una disciplina è soprattutto uno strumento per formarvi, farvi superare i vostri limiti individuali, quali possono essere la pigrizia, l'insoddisfazione e la scarsa salute motoria.

Non serve che diventiamo tutti degli eroi, degli acrobati d'alto livello o dei pifferai magici. Serve che ognuno metta qualcosa in più sul piatto dell'impegno per stare meglio con sé stessi ed il mondo.



 
**ragionevole sta ad indicare un numero che non sia follemente insostenibile nel lungo termine, rispetto alla vostra preparazione e allo stesso tempo così basso e diluito da essere inutile

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