Inizio a scrivere questo post a sette mesi ed un giorno dal
mio arrivo in Australia a Rotorua, Nuova Zelanda. Cosa ci faccio qui? Cambio di
piani improvviso? In verità il motivo è abbastanza banale, la copertura medica
gratuita che viene garantita ai cittadini italiani dopo sei mesi scade,
lasciando questi di fronte a tre scelte: procurarsi un’assicurazione privata
per coprire i mesi rimanenti, uscire dal paese ed attraverso un cavillo
burocratico avere accesso ad altri sei mesi di copertura gratuita, fregarsene e
sperare che Madre Fortuna ci accompagni sempre o altrimenti rischiare di
sobbarcarsi spese sanitarie altissime.
Tralasciando per ovvi motivi l’ultima scelta, le mie attenzioni inizialmente si
sono rivolte al trovare un’assicurazione privata, valutando diversi preventivi:
la mia prima scelta è stata per il Medibank, l’estensione privata del Medicare
pubblico che mi ha coperto per i miei primi 6 mesi di permanenza qua.
Un’occhiata in internet mi ha istantaneamente dissuaso dal richiedere assistenza:
il preventivo online impostato con la mia nazionalità e il mio visto è stato di
ben 2300 $ per sei mesi! Praticamente poco meno di quanto sono riuscito a
mettere via in questi 3-4 mesi di lavoro, ovvero i 3000 $ con i quali ero
arrivato ad inizio visto e che finalmente mi sono riguadagnato.
La seconda scelta è caduta su Bupa, altro fornitore di copertura medica che mi
incoraggiava con un’ottima cifra di 250 $... troppo allettante per non puzzarmi
al naso. Già insospettito dal fatto che mi stimasse un preventivo per singolo
stato e non l’intera nazione, ho fatto una piccola ricerca in internet che ha
rivelato recensioni di questa compagnia abbastanza furiose, con persone che si
sono dovute sobbarcare le spese mediche per intero e hanno visto i soldi solo
mesi e mesi dopo, altre che rivolgendosi ad ospedali si sono visti rifiutare
l’accettazione in quanto le suddette strutture non erano incluse nella polizza
stipulata, altre ancora che hanno avuto frustranti problemi nel cercare di
contattare la compagnia stessa… Dal mio punto di vista qualcosa giusto un
gradino al di sopra della mera truffa, pertanto nonostante il prezzo favorevole
ho preferito scartare in vista di eventuali rogne nel ottenere il servizio per
il quale avrei pagato e per il quale questa compagnia sembra riluttante a voler
offrire.
Scartate tutte le società con un feedback simile a questa, la scelta rimaneva
su un’assicurazione da viaggiatore italiana che per 5-600 € mi avrebbe fornito
un servizio complessivamente completo, anche se spiegato in maniera poco
specifica e fastidiosamente infantile sul loro sito web, fattore che mi ha
lasciato perlopiù dubbioso sulla loro serietà e che unito a tutti i cavilli
dichiarati del tipo “non ti copriamo se te la vai a cercare” mi ha convinto a
guardare piuttosto per il prezzo di un biglietto aereo internazionale e guarda
caso Melbourne-Auckland e ritorno in 5 giorni risultava di 280 $ -230
all’inizio, ma le esitazioni come sempre fanno gonfiare i prezzi-; tempo di
organizzare una breve visita in qualche località nei dintorni di Auckland ed
eccomi a Rotorua, cittadina su un lago nel nord della Nuova Zelanda, famosa per
la sua attività geotermica, le numerosi fonti termali ed ovviamente i centri di
benessere. Di certo non il posto migliore che esista in questa nazione, in
parte anche a causa del tempo sempre piovoso nel pomeriggio, ma per gli stessi
soldi dell’assicurazione da viaggiatore mi sono preso l’occasione di avere un
piccolo assaggio di questo paese, concedermi bagni di fango e termali, qualche
ora di escursione e passeggiate a scoprire le meraviglie dell’attività
vulcanica celata sotto il suolo e le acque locali, ma soprattutto a rilassarmi,
staccare la mente dai problemi, dal dover calcolare sempre ogni minima spesa e
al concedermi qualche sfizio in più grazie al vantaggioso cambio di dollari.
Le premesse alla partenza di questo viaggio erano iniziate con un mal di testa
colossale, dovuti in parte all’aver fatto due giorni di seguito di bagordi con
zero cena e molto alcool, prima coi colleghi di lavoro poi con gli amici a
Melbourne, ma soprattutto all’essermi ritrovato nuovamente incastrato in
situazioni precarie ed economicamente svantaggiose. Difatti tutta la questione
Nuova Zelanda/assicurazione medica è stata anche una gigantesca palla al balzo
per mollare il mio lavoro da sguattero e prepararsi a ritentare la strada della
farm per ottenere il secondo visto e guadagnare finalmente qualche soldo in
più. La meta la tanto decantata Griffith, cittadina del New South Wales celebre
per la presenza di italiani, vinicoltori e in parte (si dice) anche mafiosi, ma
ancor di più per l’essere una delle zone più fertili e produttive del sud est
australiano. A gestire la manodopera per le aziende stesse, in città sono
presenti tre working hostel, ossia ostelli che oltre al fornirvi di un posto in
cui dormire vi troveranno anche un lavoro e il trasporto per raggiungerlo
quotidianamente.
Dalle recensioni altrui questo può lasciare aperto a molti scenari di
sfruttamento, con i proprietari che gestiscono le vostre buste paga prendendosi
la loro percentuale e che non vi forniscono alcun contratto con i rischi
-improbabili ma possibili- di vedersi agenti del fisco chiedervi gli estratti
conto per sapere come avete fatto a sopravvivere mesi in Australia senza “aver
lavorato”, ancor di più del vedersi rifiutare il secondo visto non potendo
fornire alcun documento cartaceo aggiuntivo (buste paghe, dichiarazione dei
redditi) che certifichi il vostro lavoro in farm, ma soprattutto il rischiare
di trovarsi a lavorare nuovamente al di sotto del minimo sindacale, evidente
svantaggio dato che essendo in regola lo stipendio è più alto e che buona parte
delle tasse versate si possono richiedere indietro all’uscita del paese.
Ovviamente questi sono episodi al limite, considerato che chiunque sia stato in
quella zona me ne ha parlato sempre come una nella quale si possono fare buoni
soldi e avendo puntato all’ostello a detta di tutti migliore, dove ho amici
francesi come appoggio, considero ancora buona la possibilità di prendere
qualche soldo e poi poter organizzare al meglio i mie futuri mesi di puro
viaggio.
Dove inizia il mal di testa allora?
Il mal di testa inizia a manifestare i primi sintomi poco meno di una settimana
fa e un paio di settimane dopo aver annunciato la mia imminente intenzione di
voler mollare il lavoro ed andarmene da Melbourne, l’aver preso contatti con il
working hostel -il cui proprietario
cileno mi avrebbe garantito un lavoro entro 2-3 giorni dal mio arrivo-, l’aver
bloccato il volo per Auckland. Dopo un periodo decisamente stressante tutte le
cose da farsi si sono concentrate negli ultimi giorni, come al mio solito,
acuendo i sintomi dell’emicrania già presente a causa dei disordini
alcool-alimentari e al poco dormire, definitivamente scoppiata due giorni prima
di partire quando, chiamando il proprietario dell’ostello per confermare la mia
prenotazione, mi sono sentito dire in seguito a mia ulteriore richiesta di
conferma, che i 2-3 giorni per avere un lavoro in verità erano 2-3 settimane. La reazione successiva alla telefonata ovviamente è stata di rabbia, seguita ad
esasperazione e ad una disperata ricerca in extremis per eventuali altre alternative al dover stare
fermo in una cittadina spersa in mezzo al nulla con nulla da fare, nessuna
connessione internet nell’ostello, spendendo i soldi riguadagnati con tanta,
tanta fatica e peggio di tutto settimane preziose del mio visto altrimenti
utili per viaggiare o guadagnare soldi.
Inghiottito il boccone amaro ho deciso di rimandare eventuali decisioni al mio
ritorno in Melbourne, se possibile cercare qualche altra opportunità nel caso
mi fossi trovato una connessione internet negli ostelli in cui avrei
soggiornato in Nuova Zelanda, ma spegnere la testa per 5 giorni sarebbe stata
la priorità.
Sette mesi passati lontano da casa, sebbene questi siano passati veloci,
guardandomi indietro sembra passata un’eternità da quando mettevo piede
nell’assolata Sydney. I mesi passati a Melbourne sembrano una catena di
disgrazie che ho accumulato per aggiungere peso al peso, per intensificare le
mie ansie e indebolire ulteriormente il mio orgoglio. Guardo al mio trascorso
lavorativo non privo di problemi e sfruttamenti, alle mie difficoltà con
l’inglese, alla mia schiena dolorante, al lettore mp3 felicemente ritrovato
salvo vederlo collassare qualche settimana dopo, ai soldi spesi per lo schermo
del mio computer sfasciato per subdola sbadataggine, a ciò che ho perso di tecnica
nello sport che amo fino all’interruzione dello stesso, allo stress di cui mi
sono fatto carico in un ostello tra i peggiori di Melbourne, tra perenni
malfunzionamenti, minacce verbali da irlandesi e poche amicizie buone.
C’è stato quel momento circa un mese fa in cui il mio amico inglese Matthew
aveva abbandonato l’ostello per andare a Sydney in vacanza e poi trasferirsi su
un altro alloggio a causa dei problemi di cuore con la mia amica cilena Teresa,
il cui fidanzato olandese incontrato in
Asia sarebbe arrivato a poco in zona per portarla a fare due settimane
di viaggio nei dintorni durante la sua breve permanenza in Australia. Avendo
zero opportunità di svago a causa di orari di lavoro pressanti che non
coincidevano con quelli degli altri miei pochi amici sparsi in giro per
Melbourne, mi sono trovato una settimana praticamente da solo nella camera da
sei usualmente piena nella quale ho vissuto per quattro mesi. Fuori l’inverno
che ancora batteva con le sue piogge e temperatura fredde dopo aver dato
l’impressione di essersi rasserenato per qualche giorno, dentro i soliti malfunzionamenti,
pochi ospiti e per tre giorni unico interlocutore un signore del New South
Wales, visibilmente malato di cancro, in visita al centro medico dedicato a
Melbourne per poi essere rispedito nuovamente a Camberra, un 600 km a nord est,
per ulteriori cure.
La situazione ha ovviamente peggiorato il mio morale, lo stato di questa
persona era pietoso ed altamente evidente nell’aspetto fisico, questi reagiva
cercando di assorbire il più possibile da ciò che aveva intorno, le
comunicazioni tra le persone, i dialoghi; lucido e cosciente della sua
situazione ma non da meno determinato a proseguire le cure, bisognoso di
parlare e di cogliere tutti i frammenti di vitalità e quotidianità attorno come
se potessero servirgli a restituire la vita che stava perdendo. Non mi sono
sottratto alle conversazioni con questa persona, vi ho discusso allo stesso
modo con cui avrei fatto con qualsiasi altra, senza imbarazzanti attenzioni per
acuire il senso di distacco, di precarietà tra due piani che sono quello della
vita e della morte nella quale si trovano i malati terminali.
L’episodio mi ha aperto a numerose considerazioni sulla
caducità della vita, mi sono posto interrogativi su come dovrei vivere la mia
vita, sia dal punto di vista salutare che da quello di ottenere ciò che voglio,
ma in verità con la situazione generale mi sono sentito sprofondare nella
malinconia per giorni… Giorni difficili, stanchezza, problemi, insoddisfazioni,
ma ora che sono giunto alla fine della mia esperienza qua a Melbourne vedo
tutto ciò di bello che è riuscito ad emergere, i rapporti che mi sono costruito
con le persone, amicizie sincere, brevi momenti di divertimento, cercare di
dare il meglio di se stessi per quanto questo sia possibile. Nel mio piccolo mi
sento cambiato, sono sempre andato avanti, lasciandomi indietro le esitazioni e
guardando in faccia agli obiettivi, confusi ma pur sempre traguardi da
raggiungere, e vedo anche la bellezza dell’aver lavorato qua, tra colleghi coetanei
da tutto il mondo, con occasionale divertimento normalmente impensabile in
Italia.
Guardandosi indietro credo che ci si veda sempre bambini, ma il
passaggio all’età adulta che sta rappresentando questa esperienza è qualcosa
che si contrappone fortemente alla mia apatica e in parte infantile vita da
disoccupato che conducevo a casa negli ultimi mesi, qua sono cresciuto tra
difficoltà, dover contare su me stesso o sulle poche persone affezionativisi,
organizzarmi su tutto, sulle decisioni da prendere, burocrazia da svolgere,
dove dormire e cosa mangiare.
In qualche modo l’Australia sta rappresentando un punto d’arrivo per me, e mi
sento soddisfatto anche dal mio livello d’inglese, non sempre eccezionale ogni
giorno ma che mi permette ormai di comunicare, capire e discutere di un po’ di
tutto con la maggior parte dei miei interlocutori.
Stavo parlando dell’emicrania, di quando è iniziata ma non di quando si è
conclusa, ovvero all’ostello dove ho alloggiato a Rotorua, la sera dopo una
rilassante seduta termale, con un messaggio dal mio amico Baptiste che mi
avvisa che molte persone avrebbero lasciato il working
hostel a breve, avendo terminato i loro 3 mesi di lavoro per il secondo visto, e che questo
sarebbe stato il momento più favorevole per trovare qualche lavoro in attesa del
vero inizio della stagione di raccolto estiva. Non so se questo corrisponderà
alla verità, ma, anche grazie ai 5 giorni in Nuova Zelanda -della quale mi sono
innamorato e nella quale probabilmente tornerò-, mi sento sereno, positivo ed
infine anche un po’ dispiaciuto a lasciarmi alle spalle questa città, nella
quale ho vissuto momenti determinanti e stretto legami profondi.
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