domenica 6 settembre 2020

Intervista a Luke Albrecht

Nota dell'autore: Questa intervista è stata realizzata nel 2016 ed inizialmente pubblicata sul sito associativo di Aptaparkour e in seguito andata persa con la scadenza del dominio dello stesso.
I punti di vista esposti potrebbero essere suscettibili ai fisiologici cambi di attitudine verso la pratica che solitamente accadono in una disciplina evolutiva come il Parkour. Rimangono comunque un'interessante fonte di informazioni e spunti utili ad arricchire la propria visione personale.
Immagini e link purtroppo sono andati persi e per tale il testo viene pubblicato come originalmente editato su desktop.

Recentemente all’interno del panorama mediatico del parkour è venuto a crearsi un crescente interesse intorno alla figura di un giovane praticante del Colorado: Luke Albrecht.

Ad incuriosirmi inizialmente di Luke, che a dispetto dell’età vanta l’esperienza di oltre un decennio di pratica del parkour, è stato l’approccio creativo e fluido alla disciplina, che denota una grande sperimentazione unita ad uno spiccato talento e ad una forte dedizione.

Elementi di sicuro interessanti nello stimolare curiosità verso il suo personaggio, ma non tanto quanto la cosa che in seguito mi ha spinto a contattarlo per porgli domande più precise per ciò che riguarda la sua visione del parkour, ovvero la dichiarazione che ha rilasciato a seguito dell’infortunio che recentemente lo ha colpito, prima frattura ed evento più grave dei suoi 11 anni di pratica.

Il testo (visualizzabile sul video Path ep 19) riporta una visione incredibilmente positiva e resiliente di fronteggiare l’evento sfortunato, libera dalle meccaniche di performance che affliggono molti praticanti ma orientata piuttosto su una visione di adattamento che, per quanto possa essere un’ideale per chi pratica questa disciplina, risulta spesso avere poca visibilità nelle varie realtà di diffusione mediatica del parkour.

Da qui il desiderio di contattarlo per soddisfare alcune mie curiosità e l’idea poi di pubblicarne un’intervista accessibile a tutti. Il materiale che Luke mi ha inviato è stato talmente abbondante da costringermi a riadattamenti in fase di traduzione, per pubblicare una versione un poco più snella che racchiuda comunque i punti chiave del suo pensiero.

È doveroso precisare che così come ci sono alcuni punti del suo approccio in cui, sia come persona che come praticante, mi ci riconosco profondamente ce ne sono altri che non condivido affatto e che valuto essere il risultato del contesto differente in cui Luke è cresciuto, delle situazioni a cui è stato ed è ad ora esposto nella realtà del parkour statunitense, nonché a certe mancanze dettate dall’aver conosciuto una disciplina principalmente attraverso l’aspetto mediatico e l’esplorazione personale anziché attraverso l’opera di diffusione dei fondatori della stessa. Tuttavia ritengo che far conoscere la visione, quando ben strutturata, di un praticante sia uno dei tanti modi per evolvere la disciplina e portare la conoscenza di alcune tematiche importanti ad essere più approfondita e ricca di elementi per poter poi decidere la propria linea di pensiero e, nella pratica, a quali dei molti aspetti del parkour più affidarsi.





Ciao Luke, vuoi presentarti? Quando e come hai iniziato a praticare parkour?


Mi chiamo Luke Albrecht, pratico parkour da circa 11 anni e lo insegno da circa 7 anni. Nessuno si sorprende quando scopre che sono di origini russe, la verità è che sono orfano e sono stato adottato da piccolo… non ho modo di esprimere quanto io sia stato fortunato, la mia vita qua, tutte le cose incredibili che ho fatto e di cui ho avuto esperienza e tutti i fantastici amici che ho non sarebbero potuti esistere diversamente. Ho iniziato a provare interesse nel parkour dopo che io e i miei amici vedemmo su YouTube un video vecchia scuola intitolato “Russian Climbing”. Il parkour era molto diverso dagli altri sport, dato che richiedeva un insieme completamente differente di competenze ed abilità, ma è questo ciò di cui mi innamorai e che mi catturò completamente. Mi appassionai del senso di libertà del parkour e del freerunning e del fatto che si potesse fare in ogni momento e in ogni luogo (o quasi).

Dopo anni di allenamento, la profondità della disciplina e delle sue filosofie sono penetrate in me così tanto che ho iniziato a realizzare il suo potenziale nel cambiare le vite ed aiutare le persone, da quel punto è diventata la mia passione e il mio stile di vita, piuttosto che uno hobby od uno sport. (…) Il mio sogno è di andare in giro per il mondo, muovermi con le persone e di usare la mia passione come una piattaforma per investire in loro ed ispirarle.



Il Colorado è patria di alcune famose realtà all’interno del panorama del parkour… com’è la situazione là? Esiste una grande comunità coesa o ci sono vari gruppi di persone che praticano tra di loro?


Il Colorado sicuramente possiede una grande comunità, probabilmente una delle più grandi degli Stati Uniti, che vanta un passato importante così come alcuni nomi famosi… Nel Wisconsin ho avviato e sviluppato la comunità del parkour ed ero abituato a vedere il parkour come “la nostra cosa”, qualcosa che solo noi pochi e nessun altro faceva. Anche quando viaggiavamo in altri posti per raduni le realtà che incontravamo erano sempre piccoli gruppi come noi… Quando anni dopo mi sono trasferito a Chicago per studiare sono entrato a far parte di una comunità già avviata; non una grande ma di sicuro non sono mancate persone con cui incontrarsi ed allenarsi. (…)

Dopo che la mia ragazza ha conseguito la specializzazione in medicina orientale ci siamo spostati da Chicago ed attualmente viviamo a Denver (Colorado), della quale amiamo le montagne e la comunità locale, e dove sono stato assunto come istruttore presso una palestra chiamata Path Movement.

Particolarmente interessante è stato per me osservare le differenti modalità di allenamento tra le varie realtà. Quella del Wisconsin è sempre in movimento, cammina tantissimo fermandosi negli spot che incontra ma senza starci troppo a lungo prima di rincominciare a muoversi.
Quella di Chicago è molto più orientata sul lato sportivo, basata su una serie di spot numerati nei quali recarsi all’infinito per accamparcisi; dal momento in cui tutti sono allo spot ci stanno là per ore... non molta gente di Chicago va in giro ad esplorare la città (al contrario di me, che amo sempre scoprire nuovi spot nascosti ovunque possano essere trovati). (…) Quella di Chicago è una comunità aperta, non c’è necessità di guadagnarsi un “posto”, una fama. Più ancora che fare parkour, questi ragazzi provavano piacere nello stare fuori e nel divertirsi assieme.

Qua a Denver invece la comunità è piuttosto esclusiva, nella quale devi veramente guadagnarti la tua posizione. Nessuno ti nota a meno che tu non stuzzichi la loro vista. Ma questo accade perché qui sono tutti molto seri nel loro allenamento e il loro “distacco” immagino venga dalla lunga storia che hanno alle spalle... questa sensazione è ciò che definisco “mentalità Apex1”. (…) La comunità qua si divide in due culture: quella della palestra e quella dell’allenamento all’aperto. Quella della palestra è fedele alla palestra e di rado esce fuori, mentre quella “outdoor” disprezza le palestre e per la maggiore ne gira alla larga. Sebbene mi identifichi senza dubbio nella cultura outdoor, mi ritrovo spesso ad allenarmi in palestra per il semplice motivo che insegno in una di esse. Ma il mio spirito per l’allenamento all’aperto non si assopirà mai.


1 Apex Movement, organizzazione di rilievo nella promozione del parkour negli Stati Uniti



Il tuo approccio individuale al parkour sembra molto diverso se confrontato con molte altre personalità della scena americana (ad eccezione di Eric Wolff e pochi altri). Come sei arrivato a questo approccio?


Ecco come personalmente descriverei/definirei la disciplina:

il Parkour è spesso etichettato come “Arte del Movimento”2… La struttura portante del parkour ha a che fare con i concetti di efficienza e adattamento; è la pratica del muoversi efficacemente attraverso un ambiente, senza che gli ostacoli attorno al praticante gli siano d’impedimento. La natura sempre in fiore del parkour accompagna i suoi praticanti nei regni della creatività, della disciplina, della paura e della vittoria. Come arte atletica è benefica a chiunque la pratichi, giovane o vecchio, alto o basso che sia; mente e corpo lavorano perfettamente all’unisono quando chi la pratica salta, scala, volteggia, sta in equilibrio, oscilla e perfino compie acrobazie attraverso il suo ambiente. Attraverso un allenamento disciplinato, il praticante lavora per perfezionare le proprie abilità per muoversi nel modo che preferisce.

(…)

Ad ora l’obbiettivo e valore principale che sono giunto a sviluppare nei miei allenamenti è la fluidità, che definirei il muoversi in maniera morbida e liscia, senza interruzioni, scatti o pause innaturali nel movimento. Sono fermamente convinto che allenare le variazioni sviluppi la fluidità, essere capaci di applicare ogni movimento ad ogni situazione è di incredibile valore. Se puoi fare una cosa del genere risulterai molto meno limitato del saper fare certi movimenti solamente in certe situazioni… (…) Nel parkour non è importante solamente il “non lasciarsi sfuggire uno spot” ma anche l’allenare nello stesso luogo più variabili possibili, per mantenersi acuti e sviluppare l’abilità nel muoversi e dell’applicare i propri movimenti anche ad una situazione non ottimale. Sono sempre stato uno specialista del rendere movimenti molto facili estremamente difficili da eseguire, il tutto ciò mantenendo la fluidità e l’apparenza del non compiere alcuno sforzo. Voglio che la gente dica “questo sembra facile” per poi vederla lottare per ore nel tentativo di replicarlo… non è una questione di orgoglio o di arroganza, è più una questione di “profonda realizzazione di sé stessi”. Siamo veloci nel giudicare, siamo veloci nel presumere. Siccome qualcosa sembra “facile”, presumiamo sia “facile”. Adoro il paradosso e la satira del "facile" che si rivela in realtà estremamente difficile, amo vederti tratto in inganno, non per orgoglio ma per allargare la tua “visione del mondo”.

(…)
I benefici fisici del parkour vanno da se ma molti sono sorpresi di quanto anche la mente venga allenata: affrontare paure, superare dubbi, risolvere problemi, rilasciare la creatività e ottenere significative vittorie ogni volta e di continuo è ciò che rende la disciplina un’inesauribile corsa mozzafiato e allo stesso modo una stimolante esperienza spirituale.

Il mondo attorno a noi si trasforma in un ramificato parco giochi, in cui ogni oggetto e struttura diventano un invito ad interagire, potenzialmente senza fine. Il parkour ci aiuta a ridiventare bambini una seconda volta, curiosi, innocenti e coraggiosi, e noi impariamo come diventare più di ciò che mai avremmo potuto immaginare di essere.



2 Dal nome originale della disciplina “Art Du Déplacement”- Arte dello spostamento”



A differenza di molti altri video che enfatizzano le abilità del singolo, spesso nei tuoi non appaiono solamente i tuoi progressi individuali ma anche quelli dei tuoi studenti e dei tuoi amici e non è raro vedere muoverti fianco a fianco a persone di ogni età, sesso o livello di abilità.

Quanto è importante il concetto di comunità per te? Qual è la tua percezione nei confronti delle competizioni? Hai mai partecipato o voluto partecipare ad una competizione come ad esempio quelle promosse da Apex Movement nello stato in cui vivi?


Come hai intuito nutro una forte passione nei confronti delle comunità di parkour, grazie soprattutto al fatto che io e i miei amici abbiamo praticamente creato e sviluppato l’intera comunità del Wisconsin.


È vero ciò che dici, mi piace allenarmi con gli altri e difatti di rado mi alleno da solo e quando succede tendo ad allenarmi in maniera molto semplice. Amo le occasioni nelle quali capita di incontrarmi con i miei studenti ed allenarmici assieme al di fuori del contesto della palestra e delle lezioni. Il parkour per me è sempre stato e sempre sarà un modo per passare momenti piacevoli in compagnia di buoni amici… In occasioni simili non mi alleno neanche per migliorare, ma lascio che ogni giorno sia ciò che sia, allenandomi allo stesso modo con cui un artista improvvisa su di una tela. Ciò che capita capita. Penso sia più bello allenarsi in questa maniera, perché l’unicità di ciò che ne viene originato è completamente legata a quel preciso momento. È una creazione grezza, qualcosa che non accadrà altre volte nella stessa maniera e questo è più bello e motivante che allenarmi nel fare determinati movimenti in determinate situazioni. Non posseggo una lista di movimenti che voglio imparare, ma se sono ispirato da ciò che vedo in ogni momento ne prendo un appunto mentale e quel determinato movimento verrà fuori quando ne capiterà l’occasione.

Non sono interessato in competizioni o robe simili. Sono stato giudice di molte competizioni, principalmente per motivi monetari e perché sono state piattaforme per diffondere i miei valori e la mia visione. Non sono contro a chi vuole competere, ognuno ha il suo percorso all’interno del parkour e non c’è un modo specifico per praticarlo. Se qualcuno vuole intraprendere la strada della competizione, allora per me non c’è niente di sbagliato. Finché i praticanti sono sinceri e coerenti con se stessi non possono sbagliare e progrediranno sempre, qualunque strada essi scelgano.

Detto questo la competizione richiede una preparazione specifica prima di essere affrontata e ciò è contro il modo in cui mi alleno. Inoltre tende a mettere a confronto le persone e non credo che questa cosa e il parkour possano stare assieme: come si può giudicare l’unicità del muoversi di una persona contro quella di un’altra? Da quello che ho potuto osservare le competizioni inevitabilmente diventano giganteschi festival di tricks, incentrate su chi spara le cose più grosse a discapito della fluidità, della creatività e di altri componenti che personalmente reputo di valore inestimabile. Le competizioni incentrano tutto sulle “mosse” non sul “movimento”.

Personalmente reputo che l’ottica di competitività tenda a creare scarsa lungimiranza e questo è testimoniabile dalle più che smisurate quantità di studenti desiderosi di imparare i flips quando le basi, movimenti fondamentali quali volteggi e salti di precisione, rimangono totalmente ignorate ed in uno stato pietoso. (…) Ripeto, non sono contro nessuno che voglia competere, ma sono contro le persone che vengono tirate su sul carro da parata non pensando più a se stesse, abbandonando la creatività e rimpiazzandola con popolarità e autoglorificazione… il parkour non è uno sport da produzione di massa, non è stato ideato per essere tale e mai dovrebbe diventarlo.


Più in dettaglio, che significato ha per te il parkour? È un’arte, uno sport, un gioco o uno strumento per essere migliori? Come ha influenzato la tua vita?


Non pratico il parkour come “arte della fuga”, non mi interessa scappare dalla polizia o testare la mia abilità dal fuggire da una qualsiasi situazione, ho vissuto 24 anni della mia vita senza incorrere in alcun evento simile e non vedo così pratico allenarmi in tale maniera. Di sicuro sono convinto che il parkour possa essermi d’aiuto in un’emergenza, ma il mio approccio ad esso è più profondo, vasto e spirituale dell’allenarmi a scappare. Lasciare all’ambiente circostante il compito di dettare il mio movimento e esplorare ogni possibile interazione: questa è la migliore descrizione del mio stile d’allenamento. Sono dedito al muovermi fluidamente e con competenza, mi piace che ogni movimento mi guidi al prossimo e cogliere le persone di sorpresa con creatività. Il mondo è grande, ogni salto è differente, ogni ambiente e spazio sono unici… il parkour è un viaggio eccitante senza altipiani in cui rimanere fermi!


Questo è un detto a cui sono giunto e che amo condividere con i miei studenti: “Più migliori, più riesci a vedere. Più riesci a vedere, più riesci a fare. Più riesci a fare più ti è concesso di vedere”. Il viaggio del parkour è una scalata senza fine, non ci si ferma mai dall’affrontare sfide indipendentemente dal livello di competenza che si ha. Adoro l’aspetto risolutivo dei problemi della disciplina, dell’affrontare costantemente sfide di cui devi trovare la soluzione… (…)

Il parkour è una piattaforma per liberare la creatività e c’è così tanto che si può imparare da se stessi semplicemente allenandosi. Paure irrazionali contro paure razionali, superare dubbi, lavorare duro per completare una sfida, vedere se stessi autenticamente e sobriamente. Non puoi sopravvalutarti nel parkour e allo stesso tempo impari velocemente a non sottostimarti; un praticante non ha scelta se non quella di affrontare il vero se-stesso a testa alta: senza maschere, senza filtri, senza cagate.


Questa autenticità che le forze del parkour hanno creato, ha originato un incredibile comunità di persone autentiche. Ognuno è emozionato degli altri, ognuno si interessa agli altri, ognuno vuole essere d’aiuto. Grazie ad esso posso andare dall’altra parte del mondo e stare con qualcuno che non ho mai incontrato, semplicemente perché condividiamo la stessa passione. (…)


Recentemente hai subito un grave incidente alla gamba destra e successivamente in uno dei tuoi ultimi video3 hai dichiarato “Non sono agitato né preoccupato per il mio infortunio – per quanto possa essere difficile da credere - ma per me il parkour non è mai stato basato sul diventare più potente o bravo, ma sull’adattarsi. (…) A causa di questo la mia gamba rotta non è un regresso, ma un nuovo contesto che dovrò affrontare” L’adattamento qua sembra essere la chiave del tuo modo di approcciare il parkour, nonché una mentalità positiva per creare nuove soluzioni da una situazione problematica.

Non hai paura che ciò possa essere malinteso da molti e percepito come un invito a muoversi a discapito degli infortuni e del bisogno di riposare? Più precisamente, dopo questo evento, dove stabiliresti idealmente la linea di confine tra il muoversi e il scegliere di non muoversi?


Credimi, sono l’ultima persona a voler andare avanti ad allenarsi a discapito di un infortunio: è una cosa stupida e le conseguenze possono essere disastrose. C’è un tempo per tutto, non mi sento in obbligo di allenarmi perché ad ora sono più preoccupato di far guarire bene la gamba… devo aspettare finché i dottori non mi dicano che posso caricarci peso sopra e anche in quel caso dovrò essere molto cauto. L’ultima cosa che voglio è ostacolare o addirittura sabotare la guarigione… ho un’occasione e devo sfruttarla bene. (…) La verità è che non so quanta funzionalità riguadagnerò ed è questo che intendevo con l’adattarsi; guarirà, ma dovrò adattarmi al risultato finale, dovrò riscoprire cosa posso fare. Il modo migliore di affrontare il recupero penso sia quello di fare esattamente ciò che i medici mi diranno, loro sanno meglio di me cosa dovrà fare il mio corpo e mi ci sottoporrò con l’obbiettivo di guarire. (…) Questo infortunio e il suo recupero sono solamente una piccola fase nel grande schema delle cose: ho una vita intera per muovermi, meglio lasciare che questa stagione sia ciò che sia e prendermi il tempo necessario affinché tutto vada bene.


3 Path EP 19 - https://www.youtube.com/watch?v=qVsteddkf0o


Ti sono capitati altri infortuni seri prima di questo? Farsi male fa necessariamente parte del gioco od è possibile crescere evitandolo?


Questo è di sicuro il peggiore infortunio della mia vita. Ci sono stati un altro paio di eventi oltre le semplici botte e graffi, ma questo qua di sicuro le ha vinte tutte. Il secondo peggiore incidente mi ha causato 28 punti sulla tibia destra, l’altro una spalla dislocata, inoltre ho avuto 9 punti sulla fronte a causa della caduta di una barra mentre stavo scalando un edificio. Non direi mai che gli infortuni sono un aspetto necessario del parkour; sebbene possano essere inevitabili, non dovrebbero essere mai ricercati. Penso che allenarsi facendo tutto ciò che è possibile per evitare infortuni sia la strada migliore da prendere, e l’unica strada coerente alle origini del parkour… direi che me la sono cavata bene avendo una sola frattura in 11 anni. Imparare le basi, mantenere una tecnica sicura e perfezionare i fondamentali è di massima importanza; la fretta è la peggior nemica del parkour e nessuno è al di sopra di un atterraggio sicuro o di una buona roll. Non ci si inizia a muovere semplicemente sorpassando le basi, perché queste sono i pilastri che tengono tutto in piedi e farne una manutenzione regolare ed approfondita è ciò che previene il tutto dal crollare. Il mio infortunio è stato completamente fortuito, difatti tutti miei infortuni lo sono stati… non mi sono mai fatto male per la fretta di arrivare a qualcosa e ne ho fatto un’abitudine. Conosco tonnellate di persone che si affrettano nel voler fare le cose, che sono impazienti e alle quali potrebbe non fregargliene di meno delle basi, ma vedi, queste persone sono più giovani di me.


Sei stato influenzato in qualche maniera nel tuo punto di vista e nel modo di praticare dal contesto originale del parkour (quello dei fondatori Yamakasi e dell’Art Du Déplacement)? La storia della disciplina è ben conosciuta tra i praticanti americani con cui ti alleni?


È qualcosa di irregolare qui negli Stati Uniti… di sicuro le persone conoscono gli Yamakasi, Parkour Generations, Parkour Origins e simili, ma quella conoscenza riguarda principalmente noi adulti. La maggioranza della comunità del parkour è giovane, composta perlopiù da ragazzi e adolescenti travolti dalla “mania”, la cui esposizione alla disciplina è avvenuta attraverso i video popolari di YouTube.

Personalmente non sono molto sintonizzato coi padri della vecchia scuola, perché non faccio ripetizioni mirate dei movimenti, non faccio lo stesso catleap 20 volte di seguito, non faccio quadrupedie per tutta una rampa di scale, non lavoro uno specifico salto di precisione 100 volte.
Penso che la loro principale visione del parkour fosse una forma pratica ed alternativa di fitness4, che si allenassero per essere forti e competenti, “Essere forti per essere utili”. Non ho mai visto il parkour attraverso il filtro del fitness e dell’esercizio fisico, per me è sempre stata una piattaforma di creazione e creatività, basata sul momento, sull’ispirazione. Fare 10 muscle-ups di seguito non mi sembra divertente, non lo farei. (…) Faccio letteralmente solo parkour, ed è questo che mi tiene allenato, i muscoli che sviluppo e le capacità che apprendo sono completamente naturali e pratiche. (…) Di sicuro apprezzo ciò che hanno fatto perché è grazie a loro che il parkour si è diffuso in tutto il mondo, ma immagino che il mio approccio sia più spirituale ed estetico.



4 questo è uno dei malintesi che indicavo relativi al diverso contesto di origine, dato che chi conosce i fondatori non vede in loro l’ottica del fitness



Come viene percepito dalle persone il parkour negli Stati Uniti? È un fenomeno ben conosciuto o sta ancora crescendo?


Direi che la maggior parte delle persone ad ora abbiano sentito la parola “parkour”, ma questo non significa che sappiano che cosa sia e la maggior parte di loro crede che si tratti di gente folle che fa acrobazie da stuntmen sui tetti e cose del genere. Di sicuro YouTube e altre fonti commerciali di informazione non aiutano ad andare oltre quella visione… il parkour è sicuramente in crescita e lo sta facendo ad un ritmo veloce e pazzesco. Le palestre stanno spuntando un po’ ovunque e non è strano avere classi da 30 allievi di questi tempi, dato che di sicuro c’è interesse a riguardo, ma allo stesso tempo ci vorrà tantissimo per far capire alla gente comune cos’è veramente questa disciplina.

Di sicuro neanche American ninja warrior è d’aiuto, la maggior parte delle persone unisce le due cose nella loro immaginazione pensando che l’uno sia l’altro… sfortunatamente l’atleta di parkour/freerun medio degli Stati Uniti è quell’adolescente incosciente che ha visto le “robe di parkour” su YouTube e pensa di poterle fare senza prendersi il tempo necessario per sviluppare delle solide fondamenta. Non è un caso che le cittadinanze e le forze di sicurezza abbiano una visione negativa della disciplina e pensino che sia uno sport pericoloso, da incoscienti. Molti pochi capiscono quanto sia una forma d’arte disciplinata e tranquilla, sfortunatamente anche molti praticanti stessi lo comprendono e vanno avanti in questa direzione… ma ci sono anche molti di noi determinati a diffondere un messaggio positivo, che vogliono sia mostrato e compreso nella maniera giusta, che non vogliono problemi con la polizia e la popolazione ma che sperano venga visto come una bellissima forma d’arte mirata a potenziare la vita delle persone. (…) Il parkour è per tutti e tutti possono beneficiarne impegnandosi in un corretto modo di praticare. Il parkour ha quel potenziale.


Quali sono i tuoi piani durante questo periodo di recupero? Verrai mai in Europa? Ci sono dei luoghi qui che vorresti visitare per motivazioni legate al parkour?


Attualmente sono perlopiù concentrato sulla guarigione; ho regolari sedute di chiropratica e di agopuntura e sto facendo esattamente ciò che i medici mi dicono di fare, per essere sicuro che il mio infortunio guarisca nel miglior modo possibile. Dato che non posso muovermi ed allenarmi, sono più coinvolto in altre aree della mia vita di quanto non lo sia mai stato prima: sto scrivendo musica, studiando la Bibbia e memorizzando passaggi, svolgo mansioni alla reception anziché insegnare e sto guardando tanti film ed anime. Faccio ancora video qua e là e sto realizzando alcune mie idee sul parkour attraverso i miei amici e colleghi. Mi piacerebbe venire in Europa! Non c’è alcun posto in particolare che voglia visitare dato che vorrei andare ovunque! Non sono un pellegrino della disciplina e non sento l’obbligo di andare in qualche specifico spot o posto famoso, il mio stile di allenamento utilizza qualsiasi cosa ci sia attorno e il mio modo di muovermi ne sarebbe sempre e comunque soddisfatto. Semplicemente voglio vedere il mondo ed espandere la mia visione di esso ovunque io vada.



Intervista, traduzione e adattamento: Ravi Semenzato

Traduzione e revisione del testo: Elena Zennaro

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