lunedì 28 dicembre 2020

Perchè NON sei un "Parkour Athlete"

Miti & leggende dal passato: cos'è il Praticante? Questa figura con cui i pionieri della disciplina si identificavano e che ormai viene rilegata ai libri di storia del Parkour, assieme ad altri termini sempre più inconsueti (come ad esempio "traceur"), è ancora ad oggi il modo con cui una buona fetta delle persone con le gambe in pasta, in quest'area di movimento, definisce sé stessa.

Atleta, Artista, Freerunner, passando per il dubbioso "parkourer" sono i vocaboli oggi sempre più comuni.  Ecco invece perché dal mio punto di vista "Praticante" continua ad essere non solo il termine più sobrio per definire gli individui di questa comunità in movimento, ma effettivamente il modo più corretto per definire la stragrande maggioranza di queste persone!

"Il Praticante è un esploratore. Si crede un atleta, ma spesso è troppo cazzone per esserlo. È un buffone ma sa cosa vuol dire la serietà. Sa curarsi (male) con le sue mani. Ma soprattutto è guidato da una fortissima curiosità e voglia di vedere oltre il proprio naso e i propri limiti. E odia i programmi."

Questa la descrizione poetica che davo del praticante nel mio precedente post. Poter dire che questo è l'assoluto archetipo di ogni praticante che ho incontrato in questi anni sarebbe ingiusto.

Le persone sono diverse e si approcciano ad una determinata cosa relativamente "aperta" portando la propria personalità, la propria esperienza e diverse risorse, che possono risultare in ampio contrasto con questa definizione. Tuttavia sono abbastanza sicuro che chiunque abbia vissuto il Parkour - o una qualsiasi disciplina - da pioniere possa riconoscersi in almeno uno o più di questi aspetti e che alla radice di tutti ci sia almeno un barlume di voglia di esplorare.

Perché all'inizio di questa avventura c'è stata un'occasione di scoperta. Ed una grandissima ignoranza di base. E da questa la possibilità di indagare una determinata cosa anche fraintendendola, ma rendendola personale, unica, ricca di immaginazione ed idee.
Per non parlare delle esperienze, quali il dormire su un tetto con un sacco a pelo, l'allenarsi con persone dall'altra parte del mondo o lo sperimentare sfide concettuali.

Ed è questo che sta a capo della grandissima diversità che possiamo ammirare nel Parkour e che, al di là dei dub full e dei side prec (o di un qualsiasi movimento x di moda per un determinato periodo), continua a resistere alla faccia di chi vuole standardizzare questa disciplina, rendendola un set di movimenti stereotipati valutabili a punteggi.

Quindi chi fa Parkour non può semplicemente essere definito un Artista?

Dal mio punto di vista no. Non del tutto almeno.

Ora, non voglio entrare nell'ancor più intricato mondo di cos'è Arte e cosa non lo è e mi appoggerò alla vaga definizione di "espressione di sè", mediante uno strumento-corpo.
Sebbene non neghi che il fattore espressivo sia qualcosa che caratterizzi la disciplina, specie nelle sue forme più estetiche, credo ci sia qualcosa di più forte della volontà di esprimere sé stessi. Ad esempio qualcosa che (almeno all'origine) pende molto di più verso il mondo generale dello Sport e dell'Atleta:

Il gioco.

Hai perso.

Che sia con i propri fra, homies o buddies, la voglia di giocare anche a qualcosa che diventa molto serio come una sfida, assieme a quella del superare i propri limiti, è quello che avvicina molto di più il praticante di parkour/add/freerun al mondo dell'atleta - dilettante per lo meno -.

Dunque se chi pratica queste discipline è un po' atleta ed un po' artista (ma sostanzialmente nessuno dei due), ed è un qualcuno che ha imparato principalmente su di sé, senza "scienza" sulle spalle ma con la ricerca e l'esplorazione personale, allora Praticante è proprio la parola che fa al caso giusto.

Ma nel dettaglio cos'è un praticante? Lascio a voi le conclusioni con il seguente diagramma di Venn.

Premetto che questa è un'interpretazione personale dei vari elementi alla radice di ogni ambito. Non una verità assoluta. Perché (fortunatamente) non è tutto bianco o nero, e un atleta può imparare ad improvvisare (vedi gli sport di situazione) e un artista può essere fortemente legato ad un obbiettivo o meglio ancora basarsi sul gioco. Per non parlare poi di tutti gli sport di combattimento, un mondo parallelo ancor più grande e complesso.

Allo stesso tempo facendo un'approssimazione di categorie molto grandi e prendendo a riferimento le discipline nei dintorni del Parkour, è improbabile che molti di questi concetti non emergano in quella posizione.



I punti di incontro sono da intendere propri di quelle categorie nate dalla fusione tra le diverse macroaree


Infine:

È così importante dover dare un nome a cosa si è e a cosa si fa?

No
.

Però nel qual momento lo si dà è importante capire qual’è la propria identità. Per onestà verso gli altri o verso sé stessi. Per preservare una cultura giovane che già si perde via lavata da ventimila novità, sempre più frammentaria, inconsistente e colonizzabile. O semplicemente per avere un punto di riferimento chiaro nel qual momento ci si voglia distaccare da quell'identità per muoversi verso un'altra direzione.



tl;dr: Definirsi "parkour athlete" spesso non è del tutto onesto/corretto ed è relativamente importante al fine di preservare un'identità comune nel parkour.



*che a sua volta conta numerosi nomi e sfumature.


sabato 19 dicembre 2020

MA TU QUANTO TI ALLENI?

Quella del titolo è una domanda che spesso sento rivolgere a chiunque pratichi una disciplina/sport al di fuori dell'ambito hobbistico, me compreso. Mia intenzione non è di certo di rispondere a questa domanda, bensì di prendere l'argomento alla larga per parlare della mia esperienza personale nel Parkour / Art du Déplacement / Movimento e di come il mio approccio sia evoluto lungo gli anni, magari fornendo qualche spunto succoso per migliorare il VOSTRO, di allenamento.

Come su tutto (o quasi) più tempo dedichiamo ad una determinata cosa, più dovremmo maturare esperienza ed abilità in tale campo specifico. Verità è che se in una settimana maturiamo un cumulo di ore facendo tale cosa, quelle ore sono subordinate a così tante variabili che non è detto il risultato sia pari per due o più soggetti di pari abilità e potenziale di partenza, che si esercitano nella stessa cosa.

Per chi come me è cresciuto nel dogma del "fare tanto", che unisce parte del mindset determinato - tipico di certe pratiche - all'aver scelto questa vita - e del dover quindi giustificare a me stesso e alla mia cultura d'origine di essere un mulo da soma -, l'aspetto quantitativo, di quanto tempo si dedica ad una certa cosa e di quanta fatica si fa in una certa direzione, è sempre stato uno dei pilastri di riferimento e delle vette alle quali ambire.

Se l'aver dedicato una notevole quantità di tempo a ciò che mi appassiona è stata effettivamente la cosa che mi ha permesso di migliorare visibilmente su tanti aspetti e coltivare tanti obbiettivi contestuali, la mia esperienza attuale mi dice che quelle ore non sempre sono state utili alla mia crescita.

Ora per togliere mistero di quali elementi influenzino la fruttuosità di queste ore, ecco un breve elenco delle variabili principali. Che non descriverò in dettaglio ma alle quali abbinerò delle domande-chiave:

- DENSITÀ (Quante cose hai fatto in quell'ora di allenamento? Quanto sei stato concentrato? Quanto hai cazzeggiato?)

- FREQUENZA (Quanto spesso ti sei allenato? Come hai distribuito quelle ore? In quali fasce hai ripetuto un determinato gesto?)

- QUALITÀ (Quanta attenzione hai dato al gesto eseguito? Il metodo che hai utilizzato è stato utile a migliorare? Sei arrivato al risultato desiderato?)

- RECUPERO (Quanto eri stanco -prima, durante, alla fine- di in un determinato lavoro? Come hai dormito? Cosa hai mangiato e quanto?)

Se vi allenate seriamente, prima o poi vi porrete queste domande, e vi sarà facile identificare le variabili di cui sopra ed intuirne la loro influenza.

Ora, prima che volino ceffoni dai tecnici del settore e mi si accusi (giustamente) di disonestà intellettuale, addentrandomi in terminologie troppo tecniche che poco si addicono alla mia formazione da "nerd", ricchissima di lacune di base (non sono un scienze motorie né ho certificazioni specifiche che non riguardino il solo insegnamento dilettantistico), voglio: 1 precisare che non sto parlando in maniera specifica di allenamento della forza o bodybuilding; 2 prendere l'argomento dal punto di vista per me più onesto, ossia quello del "Praticante".

Cos'è il Praticante?

"Il Praticante è un esploratore. Si crede un atleta, ma spesso è troppo cazzone per esserlo. È un buffone ma sa cosa vuol dire la serietà. Sa curarsi (male) con le sue mani. Ma soprattutto è guidato da una fortissima curiosità e voglia di vedere oltre il proprio naso e i propri limiti. E odia i programmi."

Quello del praticante è un argomento che tratterò a fondo con un post dedicato, evidenziando in special modo le differenze con l'atleta e il perché questa parola è così forte nell'identità di chi ha vissuto il Parkour in una certa epoca.

In attesa che ciò avvenga, quello che dovete sapere di importante di questa figura - nella quale identifico me e molti altri compari - è la dedizione ad una certa arte o per l'appunto "pratica" che mal si presta ad una pianificazione maniacale.
Se da un lato c'è il desiderio di crescere, esplorare, di superare i propri limiti e l'effettiva volontà, ed impegno, nel conseguire certi obbiettivi, dall'altro c'è la disorganizzazione, la noia verso percorsi e metodi prestabiliti, rodati (e quasi sicuramente funzionanti), la tendenziale difficoltà ed indisciplina nell'entrare in routine meccaniche.

Nella mia esperienza entrare in modalità di allenamento estremamente ripetitive è stato faticoso sin dall'inizio; ogni fuga momentanea una salvezza. Allo stesso tempo si è rivelato sia una medicina non troppo amara per sistemare forti debolezze, sia uno strumento concreto per ottenere risultati tangibili nel mio allenamento (e nella vita). E che soprattutto ha rinforzato l'idea sempre di grande valore del:

"Per poter fare ciò che ti piace prima o poi devi fare anche ciò che non ti piace"

Ottenuti certi risultati è tornato però un problema evidente, legato all'essere un Praticante:

Quello di essere un cazzone.


Che preferisce fare challenge di volumi atroci di ripetizioni un giorno al mese, piuttosto che la stessa cosa 10 ripetizioni al giorno ogni giorno*. Che ricerca ogni volta sempre un'esperienza nuova anziché formulare strategie per diventare più esperto. E che puntualmente ripiomba nei limiti di un qualcosa, che oltre una certa soglia e al presentarsi di certe problematiche (infortuni, debolezze, stallo), di strategia ne necessita eccome . Tutto ciò che invece appartiene ad un ATLETA.

 *Ok, so che non tutti i praticanti si riconosceranno in questo, ma oggettivamente, specie tra i pionieri della propria città/regione/nazione quanto non è verosimile questa descrizione?

Su questa base, dopo aver sperimentato per alcuni anni periodi specifici di allenamento della forza, assemblando programmi con le mie conoscenze più o meno basilari, sbagliando e correggendo di volta in volta, ottenendo grossi risultati ma soprattutto FATICANDO COME UN MULO, sono arrivato ad un punto in cui:

- a) mi è più facile sottostare a delle routine
- b) non sopporto più di lavorare in maniera troppo serrata con un programma

O meglio. Non mi piace dedicarci più quella quantità di tempo ed energie assurda che ci dedicavo per quei 4 mesi all'anno, in cui quasi non riuscivo ad uscire a saltare (con conseguenti perdite da quel lato). Non mi piace l'essere vincolato in maniera così stretta ad uno schema con tot fasi e tot obiettivi. E mi piace ancora meno l'idea di diluire quel lavoro di 4 mesi nell'arco di 12.

Però mi è necessario.

Da una parte quindi me la sono messa via ed alcune cose sono diventate elementi fissi (specie mobilità, verticali e riabilitazioni varie), dall'altra invece sono sempre più orientato verso un approccio ibrido, che unisca i diversi aspetti vitali della mia pratica.

Ora prima di spiegare in dettaglio cosa intendo con ibrido, vi introduco un'altra variabile che ho tralasciato dalle precedenti:

- FUORI COMFORT

(Hai superato di un po' i tuoi limiti? Ti sei esposto ad una difficoltà maggiore? Hai provato paura?)

Ora:

    cos'è questo approccio ibrido?

Di certo NON è uno strumento che può sostituire la completezza e la qualità di risultati di un buon programma d'allenamento strutturato su di voi.
Piuttosto una modalità sia per avvicinare chi è allergico al concetto di routine - e necessita di migliorare in un qualche aspetto specifico -, sia per coloro che hanno già dimestichezza ed esperienza con allenamenti programmati ma che vogliono limitare al minimo questi, mirando piuttosto a mantenere un corpo ed abilità sempre pronti per l'avventura.

In come si differenzia dal "allenamento alla cazzo dove faccio le solite 2-3 cose"?

Implementando il concetto di fuori comfort. Che richiede quella ripetizione in più (o quella un po' più difficile, paurosa od intensa che sia) ad ogni sessione di allenamento. Stabilendo un numero (ragionevole) di ripetizioni settimanali di quella tecnica che abbiamo stabilito di lavorare per un dato periodo.

Nutrire questo approccio richiede soprattutto onestà. Come qualsiasi tipo di allenamento le cose da allenare devono essere ragionevolmente proporzionate al tempo che abbiamo a disposizione e al nostro stato di salute, se non vogliamo trovarci con un pugno di mosche in mano. Ancor di più l'intensità (l'entità dei carichi) con la quale lavoriamo deve essere ben adatta alle nostre capacità e a questa modalità di lavoro per evitare tragici epiloghi.


I tragici epiloghi?

Per questa sua natura è una modalità che non si presta ad obbiettivi specifici, bensì ad obbiettivi generici. Come può essere pulire un movimento acrobatico. O mantenere un generale livello di forza negli arti inferiori. O guadagnare una maggiore stabilità di core.

Serve quindi eliminare l'idea di ASPETTATIVA legata ad un obbiettivo, quale può essere di tirare su un quantitativo specifico di pesi o di giungere ad una certa skill o variabile di tecnica particolarmente complessa.

L'unico vero obbiettivo che dobbiamo portarci a casa è quello di aver svolto il nostro dovere ogni settimana. Sembra banale ma l'idea di avere un obbiettivo fisso da seguire anche solo una volta a settimana e da evolvere in un arco di tempo più lungo, non è affatto scontata per chi non si è mai allenato in autonomia stabilendo una routine o con un programma.

DA DOVE INIZIO?

Dal tuo livello d'esperienza e di fitness ATTUALE.

Sei fuori forma e non hai una routine? Trovati qualcosa che puoi fare con semplicità (dei piegamenti, dei volteggi, delle tenute isometriche), stabilisci un numero ragionevole** di ripetizioni, le volte in cui ripeterlo (o il tempo che vuoi dedicarci) e trova il modo di renderlo più difficile ad ogni sessione, senza dimenticare un lavoro a metà una tantum.

Sei esperto ma infortunato? Dai priorità alle tue debolezze e struttura il tuo approccio ibrido sulla riabilitazione.

Sei un PRO ma non hai più il tempo di prima? Trova un obbiettivo giusto che dia il massimo guadagno con il minor dispendio possibile di tempo. Se vuoi arrivare ad 1 min. di verticale da 0 magari no, perlomeno non da solo.

Concludo con una considerazione finale, che è la domanda che talvolta si abbina a quella del titolo. A CHE PRO? Ricordatevi che una disciplina è soprattutto uno strumento per formarvi, farvi superare i vostri limiti individuali, quali possono essere la pigrizia, l'insoddisfazione e la scarsa salute motoria.

Non serve che diventiamo tutti degli eroi, degli acrobati d'alto livello o dei pifferai magici. Serve che ognuno metta qualcosa in più sul piatto dell'impegno per stare meglio con sé stessi ed il mondo.



 
**ragionevole sta ad indicare un numero che non sia follemente insostenibile nel lungo termine, rispetto alla vostra preparazione e allo stesso tempo così basso e diluito da essere inutile

martedì 8 dicembre 2020

SULLE COMPETIZIONI (ANCORA?!)

Ritorno il più brevemente possibile sull'argomento, dopo averne dibattuto in passato (non sul blog ma su social). In questi giorni si sono svolti i campionati di "Parkour" FGI Rimini, che hanno visto partecipazione di alcuni atleti in vista del panorama italiano (più altri che sinceramente non conosco), la pubblicazione di alcuni articoli di stampa specialistica, un discreto clamore mediatico sui social da parte della comunità di pk/fr/add che dibatte giustamente sull'impatto che avrà la cosa in questione.

Ora prima di scrivere il mio pensiero e per massima trasparenza preciso che:

- faccio attività di corso con società sportive della ginnastica in qualità di collaboratore e coach di parkour;
- di cui una affiliata FGI e con una forte componente agonistica
- non formo atleti per competizioni e ad ora non mi è stato chiesto nulla in tale direzione
e (cosa che mi attirerà probabili future antipatie da parte di amici di lunga data):
- allo stato attuale NON sono totalmente sfavorevole alle competizione nel parkour

Fatte queste precisazioni ed evitando ulteriori preamboli riguardo il decorso del parkour mondiale all'interno della FIG che è un processo ormai avviato da qualche annetto, voglio specificare che l'impellenza di questo post nasce per dipanare un mio commento su facebook, ovvero il seguente:


Alla luce dei punti citati sopra credo sia facile tacciarmi di incoerenza ma cercherò sempre per punti (per cercare maggiore sintesi) di specificare tutto il mio pensiero a riguardo:

- NON SONO DEL TUTTO CONTRARIO ALLA COMPETIZIONE NEL PARKOUR. Sono contrario come lo ero in passato al doversi trovare a promuovere la disciplina attraverso un filtro competitivo in cui debba essere spiegato che il parkour può ANCHE NON ESSERE orientato all'agonismo. Questa cosa è una differenza che mi turba non poco, in più una disonestà nei confronti di me stesso e di tutte quelle persone che si sono avvicinate a questa disciplina(e) (comprese quelle a cui insegno) per la sua natura LIBERA senza voler essere inquadrate all'interno di un sistema performativo stereotipato la cui massima ambizione è classificarsi attraverso un sistema di punteggi.

- con tutto il rispetto che nutro nei confronti delle personalità della ginnastica con cui collaboro SONO CONTRARIO ALLE COMPETIZIONI FIG/FGI o gestite da qualsiasi federazione non figlia del nostro mondo (lasciando stare WFPF/IPF che sono figlie di imprenditoria pubblicitaria). Ritengo che se proprio ci debba essere un format competitivo quello debba nascere con canoni e punteggi stabiliti dalla comunità attiva, non da personaggi orbitanti per puro interesse privato.

- SONO CONTRARIO AL TIPO DI DIFFUSIONE MEDIATICA "POSITIVA" che ne deriva. L'idea che questa disciplina di scapestrati mal vestiti che saltano sui muri ora finalmente puliti dalla FIG sia conformata entro i parametri del socialmente accettabile è semplicemente ributtante. Come se l'abito facesse il monaco e non ci fossero persone "scapestrate" e mal vestite che dall'alba di questa disciplina lottano per il riconoscimento di ciò che facciamo in chiave positiva, di miglioramento individuale e sociale.
Qualcuno può dire che entrambe le realtà possono coesistere, io ci vedo una PERICOLOSA deriva verso una scissione di praticanti seri e per bene che fanno i contest in ambiente sicuro ed omologato e di sciroccati che saltano su cose senza averne l'autorità. Uno sputo in faccia a chi da anni lavora per un riconoscimento COMPLETO. Confido che la nostra realtà sia sempre più forte ed attraente di questa, ma ricordiamoci che le regole attualmente le fa la FGI/FIG.

- La "PENA" che provo è relativa alla dignità individuale. Di atleti fortissimi, mover straordinari, che si prestano a format di siffatta bruttezza, che snaturano ciò che c'è di bello ed artistico nel mondo del movimento inseguendo un sistema di punteggi stabilito da chi ha un filtro estetico che non combacia con il nostro. Lasciando poi perdere l'aspetto valoriale, del quale non vedo alcuno di questi atleti impegnato a specificare che questo NON è "vero" parkour. Capisco poi che come tutti si cerchi di "portare la pagnotta a casa", specie per chi viene da realtà più difficili e questo non lo critico, ma è veramente questo il prezzo? E questa la soluzione?

Ora che ho dipanato questi punti, il post può essere considerato già concluso. Ecco invece, per chi volesse, le specifiche per chiarire più a fondo.

La mia idea sulle competizioni NON CAMBIA, se mai, attraverso l'osservazione, migliora. Presupponendo che una società evoluta progredisce verso una direzione COLLABORATIVA anziché COMPETITIVA, la realtà dei fatti è che LA COMPETIZIONE È UN FATTORE INSITO NELLA NATURA STESSA, è biologica, umana, istintiva. E come ogni istinto va domato, non represso. Ne va colto il potenziale fortemente formativo e finalizzato correttamente. Negare questo fattore vuol dire negare la volontà stessa di dare continuità a noi stessi come specie.

Io sinceramente vivo come un deficit la mia mancanza di spirito competitivo. Specialmente quando si realizza di non vivere in una società prettamente collaborativa come idealisticamente si vorrebbe. E sinceramente non capisco perché ai ragazzi cui insegno debba essere negata questa esperienza in toto, come fosse il grande male del mondo e non ci fosse nulla di positivo da imparare.

Questo significa che bisogna per forza fare le competizioni di parkour?
NO! Questo significa che la competitività non deve essere trattata in maniera dogmatica e rifiutata, ma bensì integrata, fatta sperimentare in maniera sana, senza negare il RISPETTO per gli altri (visto come deriva negativa della competitività) e che il dialogo con l'"Ego" (il grande demone) debba essere favorito e dipanato anziché bastonato e mal soppresso, come in molti ho visto fare. La medaglia alla quale si deve poter ambire attraverso la competizione è quella dello sviluppo individuale e del proprio benessere psicofisico e questo passa in maniera imprescindibile attraverso un'opera di EDUCAZIONE. Sotto questo PUNTO IMPRESCINDIBILE, in cui si sancisce un limite di cosa può essere STRUMENTO e cosa può essere il FINE anche le competizioni organizzate da una società stessa possono essere utili, anche se non per forza necessarie.

Aggiungo che da come ho potuto osservare, spesso chi rifiuta la competizione parte da:

  • un rifiuto di mettersi in gioco e in confronto con altri per auto-sminuimento e poca fiducia in sé, che si manifesta solitamente nella paura del perdere
  • un'idea tendenzialmente negativa di pericolo incontrollato e di farsi male
  • la mancanza di volontà di omologarsi ad un sistema preconfezionato

Dal mio punto di vista tutte motivazioni SACROSANTE al rifiutare la competizione e qualsiasi tipo di pressione esterna nel fare qualcosa che si valuta intimo e personale. Ma bisogna anche essere certi che:

  1. Non ci stiamo prendendo in giro, rifuggendo da qualsiasi confronto per mancanza di onestà con noi stessi
  2. Non siamo noi ad essere impreparati di fronte ad una sfida impegnativa (come può esserlo quella della competizione)
  3. Non abbiamo qualcosa di irrisolto con il nostro "Ego" che ci fa gridare al lupo ogni volta che vediamo qualcosa che nel nostro mondo ideale mette in crisi l'auto-repressione che applichiamo

Con questa base fare sperimentare la competizione in maniera mirata ad ogni livello e stimolarne una visione critica senza dogmi credo possa non essere più un paradosso. Ad esempio attraverso il gioco. Che se ben strutturato, può anche fare sperimentare la vittoria a tutti.

Infine, riguardo alla "pagnotta da portare a casa": riconosco che alcune persone vivano in contesti più difficili e rarefatti dal punto di vista lavorativo, ma HEY. Ho 32 anni, ho scelto questa vita per questo momento e vivo nelle stesse difficoltà. Vivo autonomo, ho spese di affitto, cibo, utenze e trasporti e non chiedo soldi alla mia famiglia. Vivo di ristrettezze ed instabilità (mai come in questo momento), soppesati dalla bellezza di poter continuare a praticare movimento ogni giorno e lo faccio con dignità insegnando ciò che amo. So che non tutti sono inclini (per fortuna) all'insegnamento. Conosco la paura della mancanza di soldi, conosco le pressioni e le perplessità della famiglia, ma conosco anche la capacità di fare qualcosa di magari sgradevole ma onesto per potersi sostentare momentaneamente e continuare a muoversi. Conosco anche chi ha a malapena 20 anni e cerca di fare il botto della vita senza mettersi in gioco su nessun altro aspetto personale. E conosco anche chi da questa idea è stato tritato.

Per (finalmente) concludere, alcune precisazioni del caso:

- Volevo esprimermi su Antonio Bosso, che da anni seguo ed ammiro per la grande abilità nel muoversi e il lavoro che fa nel sociale in una realtà cruda come quella di Napoli e che mi ha fatto digerire anche i format più indigesti nell'ottica di questa sua missione. Non lo farò per i sentimenti contrastanti che la cosa mi genera.

- Non ho parlato dell'aspetto limitante in termini di movimento STEREOTIPATO nelle competizioni e conseguente difficoltà di stabilire dei canoni veri e propri per i punteggi in un mondo motoriamente aperto come questo. Per non parlare poi dell'aspetto MENTALE che è uno dei punti cardini della disciplina.

- Il mio ruolo rimane invariato. Continuerò a non essere formatore di atleti agonisti, anche se non negherò loro la possibilità di competere durante le lezioni. Non parteciperò alla creazione di alternative ai format della FGI perché non è nelle mie competenze, anche se sosterrò più qualcosa che viene dalla comunità che da fuori. I miei allievi saranno liberi di fare le loro esperienze in ambito, semplicemente non avranno il mio supporto in gara, ma neanche la chiusura di porte in faccia. Magari parteciperò di persona a qualche competizione, chissà.

domenica 6 settembre 2020

Luke Albrecht 2016 Interview

This is the uncut version sent me by Luke on September 2016. For the shortened italian version look at this link.


Hi Luke, could you please introduce yourself? How old are you? Where are you from? How and when did you start doing parkour?

My name is Luke Albrecht, I've been doing parkour for about 11 years now, teaching for about seven of those years. No one is surprised when they find out that I'm Russian, but truth be told I was an orphan and was adopted when I was a little boy. I cannot express how blessed I am. My life here, all of the amazing things I've done and experienced, and all the amazing friends I have would not exist otherwise. All it took was for my friends and I to see that old-school “Russian Climbing” video on YouTube to get us interested in parkour. Parkour was very different from gymnastics, as it required an entirely different set of skills and ability, but that's what I loved about it and it completely captured me. I came to love the freedom of parkour and freerunning and the fact that you could do it anytime, anywhere (well, almost anywhere...).

After years of training, the
depths of parkour and its philosophies sunk in as well and I began to realize the potential parkour had to change lives and help people. With that, parkour became my passion and lifestyle rather than my sport and hobby. Together with my friends we began making propositions at gymnastics gyms, YMCA’s, Rec. Centers (wherever we could) to teach parkour. At the time no one knew what it was, so it was difficult. But, we had some successes and just like that classes started all around South East Wisconsin and we began building a community. At the same time that I was growing in parkour I was growing in my relationship with Jesus which led me to undertake a bunch of missionary schooling.

My great dream is to go out into the
world and move with others, to use my lifestyle and passion as a platform to invest in them and inspire them. I currently live in the Denver area, I moved out here from Chicago with my girlfriend once she finished getting her masters in Oriental Medicine. We love the mountains and we love the community here. I was quickly hired as Parkour instructor at a gym called Path Movement.


What is your sport background? Had you ever followed any other discipline so intensively before parkour?

I played baseball for a while in Elementary School, basketball in Middle School, and
then in High School I did track and pole-vaulting for 2 years. Right as I was starting High School is when my friends and I were exposed to parkour and started doing it. It was more satisfying and rewarding than any other “sport” I had done. It was completely self-paced, you didn’t get yelled at by coaches, or made fun of by other kids. Parkour was something I could be completely in control of. The freedom and personal nature of parkour was just what I needed. It was something I could excel at rather than just be mediocre at it like any of the other sports I tried.


Colorado is home for a few "famous" parkour realities... how's the situation
there? Is there a big community or different groups of people training on their own?

Colorado certainly has a big community, probably one of the largest in the United
States. The community here has a big history as well as some big names. In Wisconsin I started the community and built it, I was used to parkour being “our thing,” something a few of us did that no one else was doing. Even when we’d travel to places for jams those communities were always small groups of people like us.

When I moved to
Chicago much later for school, I entered into an already established community. It wasn’t big, but there definitely wasn’t a shortage of people to meet up with and train. The Chicago community was inviting, you didn’t have to earn your place and earn recognition. Even more than doing parkour, these guys just like to hang out and have fun together. What’s been interesting to observe are the differences in training among communities. The Wisconsin community travels, lots of walking and hitting up spots as you pass by them, never staying too long before you continue moving on. The Chicago community is very sport oriented. They have a number of spots that they’ll continue to go to over and over again. And they camp. Once everyone’s at a spot, they stay there for hours. Not many people in Chicago explore around (which is the opposite of me, because I love finding new hidden spots wherever they can be found). Like I said, they’re more interested in having fun together than seriously training. Parkour is a hobby for them, not a career. Not to say that they don’t work hard or progress.

Having
been to the east cost several times for jams and such I’ve observed that they’re very serious about training. Everyone works really hard to accomplish their goals, and there’s very little talking. Here in Denver the community is somewhat exclusive. You really have to earn your way in. No one notices you unless you catch their eye. But that’s because everyone here is also very serious about their training and their “aloofness” is due to all the history here I imagine. It’s what I consider the “Apex Mindset.” Needless to say, I’ve made plenty of friends and we all have a lot of fun training together. The community here has two cultures: a gym culture and an outdoor culture. The gym culture sticks to the gyms and rarely ever goes outside, while the outdoor culture despises gyms and stays away from them for the most part. While I would definitely fall into the outdoor culture, I find myself in a gym quite a lot simply because I coach in one. But my outdoor spirit will never diminish. 


Your personal approach to parkour looks a lot different compared to many other american personalities (except for Eric Wolff and few others).How did you come up with this approach? Who inspired you through this movement evolution?

Here’s how I would personally describe/define Parkour:Parkour is often labeled as “The Art of Movement”. The infrastructure of parkour deals with efficiency and adaptation; it is the practice of moving through one’s environment effectively, with the obstacles around the practitioner being of no hindrance. The ever-flourishing nature of parkour escorts its practitioners into realms of creativity, discipline, fear, and victory. As an athletic art, parkour is beneficial to everyone who practices it, young and old, short or tall. The mind and body work together in perfect unison as the practitioner jumps, climbs, vaults, balances, swings, and even flips through his/her environment.

Through disciplined training, a practitioner works to master his/her ability
to move as he/she pleases. The physical benefits of parkour go without saying, but most are surprised how much parkour exercises the mind as well. Facing fears, overcoming doubts, problem solving, unleashing creativity, and achieving significant victories time and time again keeps parkour an ever-climbing thrill ride as well as an inspiring spiritual experience. The world around us transforms into a sprawling playground, with every object and structure becoming an invitation for interaction—endless potential. Parkour helps us become a child once again, inquisitive, innocent, brave...and we learn how to become more than we ever thought we could be.
 
 
On your videos you appear not just to be creative and to possess an amazing technical property but also very physically strong. How much time do you spend on building your strength? Does it affect your personality and confidence when moving, or is it just athletic training to obtain skills?
 
I love this question, and I love to answer it. I get this question from a lot of people. To be honest, I do not workout whatsoever. I do not lift weights, I do not condition, and I do not do anything that would be considered fitness. I literally only do parkour, and I am passionate about being a living testament of natural progression. As I mentioned above, the more you move the better you get at moving. If I want to get better at jumping, I just have to jump a lot. If I want to get better at vaulting, I just have to vault a lot. I believe that by training parkour, and having that be what keeps me fit, the muscles I develop and the capabilities I apprehend are completely natural and completely practical. There are a few shirtless pictures of me out there that show how ripped I am (and I say that in all humility) but how my body looks is none other than the results of parkour itself. Am I a crazy diet person. I pretty much eat what I want when I want. Now, I certainly do not eat unhealthy, but I do not have any restrictions or guidelines for what I eat. From what I've heard, a wide variety and balanced diet will always be what is best for you.


Although originally based on sharing and friendship values, Parkour has a really strong individual basis, as is widely perceived in many videos, and lately it has become almost common to discuss competitions as something "normal" for the growing worldwide parkour community. Differently to many other "one-centered" videos, you like to film not just your own personal progress but your students' and friends' too, moving side by side with people of any age, gender or skill level...
How important is the sense of community for you? How do you
perceive competitions and have you ever participated or wanted to participate in a competition (like the ones promoted by Apex Movement in your state)?


As you’ve guessed, I am very passionate about the parkour community, as my friends
and I have basically created and built up the entire Wisconsin community. It is true what you say, I love to train with others. In fact, I very rarely ever go out by myself, and if I do I keep it very simple. I love when I get to meet up with my students and train with them outside of the gym and outside of the context of classes. Parkour has always been and will always be a way to spend good time with good friends. I don't even train to be better, it's more like I let each day to be what it is. Like an artist would improvise on a canvas, so is the style of my training. What comes of it comes of it. I think it is more beautiful that way, because it is it is entirely unique to that moments. It is raw creation. It will never happen again the same. That is more beautiful and inspiring to me than training to be able to do certain movements for certain situations.

I do not have a
checklist of moves I want to learn. If I am inspired by what I see at any given moment, I'll make a mental note of it and it'll come out when it does. I have no interest in competition whatsoever. I have judged for several competitions, namely because I made good money for them, and it gives me a platform to spread my values and vision. I am not against others competing. Everyone has their own journey in parkour, there is no specific way to do it. If someone wants to take the competitive route, then there's nothing wrong with that. As long as practitioners stay true to themselves, they can't go wrong and they will progress no matter what path they choose. Competition require you to prepare before hand, which is anti-how I view training. It also compares people, and I do not think there is a place for that and parkour. How can you judge one person's unique movement against another’s? From what I’ve observed, competitions in parkour inevitably just become a huge trick-fest. It’s about who’s throwing down the biggest tricks regardless of flow, creativity, and other elements that I personally view as extremely valuable.

Competitions make it about the moves, not
the movement. I personally think the competitive mindset has a tendency to create short-sightedness. This is verified all the more by countless students all wanting to learn flips while basic, fundamental movements like vaults and precisions remain completely untouched and in a messy state. It’s come to the point where I direct students to other coaches if they come to me asking me to teach them flips. I am not lying when I say that more students can do a back flip than a kong vault, and this is true everywhere I’ve taught. It’s because there’s the growing nature of competition, which is beginning to glorify a certain style of movement—namely throwing around a bunch of big tricks. Check out any popular parkour video on YouTube...it’s all flips and craziness, no? Ask yourself this; you and many others have said that my style of movement is incredibly unique...why is that? And should that be the case?

Again I am not against any of it, but
what I am against is people getting caught up in the bandwagon and not thinking for themselves anymore. Abandoning creativity and creation and replacing it with popularity and self glorification. Parkour is not a cookie-cutter sport, it was never meant to be and it never should become that.


More precisely, what meaning does parkour have for you? Is it an art, a sport, a game or a tool to be better? How has parkour affected your life?

I do not train parkour as “the art of escape”. I have no interest in running from cops, or testing out my ability to flee from a situation. Though parkour was originally intended to help you train for emergency situations, I have lived 24 years of my life in no such situation and I don’t see it as practical to make parkour about that. True, I’m sure parkour will help me if an emergency situation should ever arise, by my take on parkour is much deeper, fuller, and spiritual than training myself to flee well. The best way I can explain my style of training is letting the environment around me dictate my movement, and exploring every possible interaction. I am passionate about moving smoothly and proficiently. I like each movement to lead right into the next, and to catch people off-guard with creativity. The world is vast, every jump is different, every environment and space is unique.

Parkour is an exciting journey with no plateaus! The better you get, the
more you see. This is a saying I’ve come up with that I like to share with my students: “The more you see, the more you can do. The more you can do, the more you get to see.” The journey of parkour is a never-ending climb. You’ll never stop being faced with challenges regardless of your proficiency. I love the problem solving aspect of parkour. You’re constantly faced with challenges that you have to figure out. Some solutions are outside your ability and others are not exciting enough. Finding your own path, your own way is extremely satisfying.

Flowing across a space and then looking back at everything
you just overcame is super fulfilling. Taking what you see in your mind and causing it to manifest in reality is spiritual. It’s pure, raw creation. Parkour is a platform for you to unleash your creativity. There’s so much one can learn about themselves by training parkour. Irrational fears vs rational fears, overcoming doubts, working hard to accomplish a challenge, viewing one’s self authentically and soberly. You cannot overestimate yourself in parkour, and you quickly learn not to underestimate yourself. A practitioner of parkour has no choice but to face their true-selves head on: no masks, no filters, not bullshit. This authenticity that parkour forces has created an incredible community of authentic people.
Everyone is excited about each other, everyone cares,
everyone wants to help. Because of parkour I can go to a country on the other side of the world and stay with someone I’ve never met, just because we share a passion of parkour. Now my main focus and value that I’ve come to develop in my training is flow. I would define flow and being able to move smoothly and seamlessly—no pauses, stutters, or unnatural breaks in the the movement. I firmly believe that training variation develops flow.
Being able to apply any movement to any situation is super valuable. If
you can do that, you're much less limited than if you can only do certain movements in certain situations. Being limited will result in a lack of flow. But being unlimited and having full control of your body and movement will allow flow.

Not only is it important to
"not pass up a spot" but it's also important to train as many variations there as you can, to keep yourself sharp and developing your ability to move and apply your movement to a less-desirable situation. I've always been an advocate of making super easy movements become extremely hard to execute, all while maintaining the fluid and effortless aesthetic. I want people to be like "Oh, that looks easy" and then they struggle for hours when trying to do it themselves. This isn't a pride or arrogance thing, it's more of a “deeper realization of one's self thing.” We're quick to judge. We're quick to assume. Because something is "easy" we assume it's "easy." I love the paradox and satire of something "easy" being extremely difficult in reality. I love catching you on your bluff—again, not in a prideful way, just in an "expanding your worldview” way.


Has anybody from the original parkour background (L'Art du Deplacement from Yamakasi founders) influenced your point of view andthe way you've been practicingso far? Is the history of parkour well known among the american practitioners you train with?

It’s kind of hit or miss here in the States. Sure, people know about Yamakasi, Parkour
Generations, and Parkour Origins and such, but that knowledge mainly goes to us adults. The majority of the parkour community is young. Teens, young adults who were swept up in the parkour “craze.” Their exposure to parkour is the popular parkour vids on YouTube. I don’t really relate with the old school fathers because I don’t drill movements. I don’t do the same cat leap 20 times in a row, I don’t do QM’s all the way down a flight of stairs, I don’t drill a specific precision 100 times. I think their main view of parkour was to be an alternative, practical form of fitness. They trained parkour to become strong and competent. “Be Strong to Be Useful.” I’ve never viewed parkour through the filter of fitness and working out. Parkour has always been a platform for creation and creativity for me. It’s in the moment, it’s impromptu. Doing 10 muscle-ups in a row does not sound fun to me. I would not do that. I definitely appreciate what they’ve done and it is because of them that parkour has spread all over the world. I guess my approach to parkour is more spiritual and about the aesthetic.


Lately you suffered from a really big injury to your right leg and you stated on your last path episode: "I'm not upset or troubled by my injury (as hard as that may be to believe), but for me, success in parkour was never about going bigger or better. It was always about adapting.(...) Because of that, my broken leg is not a "set-back". It's just a new context that I'll have to problem in. " Adaptation here appears to be a key to your way of approaching parkour, and also a positive mindset for creating new solutions out of a troubled situation.

Assuming that this
is an important value to pass on to the younger trainees, aren't you afraid this could be misunderstood by many and perceived as a suggestion to move despite their injuries or need to rest? In hindsight, after your injury, where do you think the line between moving and choosing not to move should ideally be set?


Believe me, I am the last person to forge ahead and train despite my injury. That is
foolish and can have disastrous consequences. There is a time for everything. I am not compelled to train because I am currently more concerned about my injury healing properly. I must wait until the doctors tell me that I can put weight on it, and even then I’ll have to be very careful. The last thing I want is to hinder it’s recovery or even sabotage it. I get one shot, so I gotta do this right. Will my leg and foot ever be the same? Who knows. Will I be able to jump as big? Who knows. The truth is, I don’t know how much functionality I’ll get back. And that’s what I mean by adapting. It will heal, but I will have to adapt to the final product. I will have to rediscover what I can do. I think the best way to go about my recovery is to do exactly what the doctors tell me to do. They know better than I what the body needs to do and undergo in order to heal the injury. When I can bear weight, I’ll bear weight. When I can start moving around again and training, I’ll start moving around again. This injury and it’s recovery is only for a short time in the grand scheme of things. I’ll be able to move my whole life, best to let this season be what it is and take the time to do it right.

Did you have any other important injuries before this? Are injuries a necessary part of the game or is it possible to grow avoiding them? Do you often experience among your trainees or training companions the will to rush into results not taking the required time and exposing themselves to serious damage? How do you face this situation?

This is definitely the worst injury I've ever had in my life. There have been a couple of other injuries that were beyond just bumps and bruises, but this one takes the cake. This is my first case of a broken bone (and boy, did I go all out with this one too). The second worst injury I've had is 28 stitches in my right shin. Another injury would include a separated shoulder. I've had 9 stitches in my forehead from a bar falling on it while scaling a building. I would never say that injuries are a necessary part of parkour. Even though they are inevitably unavoidable, they should never be sought after. I think training in such a way to do everything you can to avoid getting injuries is the best route to take, and the only route that stays true to the original nature of parkour. I’d say I did good in putting off a broken bone for 11 years.

Learning your basics, maintaining safe
technique, and refining your foundations are of utmost importance. Hastiness is your worst enemy in parkour. No one is above a parkour roll or a safety landing. You don’t simply move beyond the basics. The basics are the pillars that hold everything else up. Regular and thorough maintenance is the only thing that’ll keep everything from crashing down. My injury was a complete fluke, in fact, all of my injuries have been flukes. I’ve never gotten hurt because I’ve rushed into something. I make it a habit not to. I do know plenty of people who do rush into things, are hasty, and could care less about the basics. But you see, these people are younger than me.


How's the common perception of parkour in the United States? Is it a wide known phenomenon or is it still growing?Is there prejudice and misinformation given by the media and, if so, does it make it difficult to be accepted by the people and institutions especially when training outdoors? 
 
I would say that most people by now have heard the word parkour. But that does not mean that they know what it is. Most people in the United States do not know what parkour really is and they just assume that it is crazy people doing crazy stunts across rooftops and such. Of course, we have YouTube and other mainstream forms of media to help further that perception. Parkour is definitely on the rise and it is growing at an insanely fast pace. Gyms are popping up everywhere, and it is not uncommon to have classes with 30 students in them these days. The interest is definitely there, but it is going to take a lot of work to help the general population understand what parkour really is. 
 
American ninja warrior is no help. Most people throw the two together in their minds. People think that American ninja warrior is parkour, and that parkour is American ninja warrior. 
Unfortunately the average parkour/freerunning athlete in the U.S. is that reckless teenager who saw parkour stuff of YouTube and thinks they can just do it without taking the time to develop a strong foundation. It’s no reason cities and security have a negative outlook on parkour and think it to be this dangerous, reckless sport and craze. Very few understand it to be a very disciplined, restful, art form. 
 
Unfortunately very few practitioners themselves understand parkour in this way either. But there are many of us determined to spread a positive message of parkour. We want it to be displayed properly and understood properly. We don’t want animosity with cops and security and even the general public. We hope it’ll come to be viewed as a beautiful practice and art form that empowers people in their lives. The first reaction you get from just about everyone when they see you doing parkour is “I could never do that” or “I’d break something if I tired that.” Parkour is seen as this distant thing far beyond the hopes or abilities of any “sane” person. That is simply not true. Parkour is for anyone. Everyone can really benefit from properly engaging in parkour. It has that potential.


What are your plans during this recovery period? Will you ever come to Europe? Are there any places here you would want to visit for parkour purposes? 
 
Right now I am mainly focused on recovering. I am having regular chiropractic appointments and regular acupuncture appointments. I am eating exactly what the doctors told me I should be eating and I am doing exactly what they told me I should be doing. I am literally doing everything I can to make sure that my injury heals the best that possibly can. Since I can't move around and train, I’ve definitely partaken in other areas of my life more than I had been. I’m writing music, I’m studying the Bible and memorizing verses, I’m doing front desk work at my job instead of coaching, and I’m watching a lot of movies and anime. I’ve still been making videos here and there, and I’ve been living out some of my parkour ideas through my friends and co-workers. I would love to visit Europe! There's not really anywhere in particular that I want to go so much as I just want to go anywhere and everywhere. I am not a parkour pilgrim, I don't feel that obligation to go to specific spots or famous places. My style of training utilizes whatever is around me, So my training and movement is satisfied anywhere. 
I want to see the world, I want everywhere I go to expand my worldview.