Uscire volontariamente da quelle aree di relativa comodità e sicurezza che ci ritagliamo nelle nostre vite, è uno di quei principi-cardine che contraddistinguono la pratica del Parkour (e suppongo anche dell'Art Du Déplacement) e che paiono essere condivisi da più o meno tutti indipendentemente dalle fazioni.
Il potere di crescita di queste situazioni è indiscutibile e per anni la mia ambizione generale è stata quella di maturare abitudine e forza in quest'aspetto per poterlo trasferire agli altri ambiti della mia vita.
Tralasciando ulteriori riflessioni più o meno scontate a tal proposito, vorrei piuttosto parlare di mie "recenti" esperienze che riguardano l'approccio alla più giovane "Parkour community" italiana, la quale (tralasciando quella dei corsi) è numerosa e apparentemente nel pieno boom. Premetto che le considerazioni che farò sono frutto di speculazioni e percezioni personali, che possono essere più o meno distorte dai contesti che ho vissuto, soprattutto dall'aver a lungo praticato il Parkour come una disciplina fortemente introspettiva.
La comunità alla quale mi riferisco è quella più sportiva e orientata alla performance, che è sempre esistita e alla quale mi sono sempre interfacciato fin dai primi anni di allenamento. Una comunità che, parallelamente alla mia persona e alla mia realtà, ho visto invecchiare e perdere numerosi pezzi e giovani promesse... Salvo rigenerarsi con vigore nel tempo, mantenendo al nucleo un manipolo di "anziani" (spesso non anagraficamente), e alla base una moltitudine di giovani praticanti, o per meglio dire atleti.
Faccio questa doverosa distinzione di cui ho già parlato, ma non soffermandomi tanto sugli aspetti specifici che riguardano questi termini, ma sull'intenzione dei singoli. Perché è evidente che, tralasciando l'aspetto di gioco e divertimento, in molti si veda la voglia di dimostrare come ci fosse un'aspettativa molto elevata a circondare il tutto. Una pressione del tutto particolare, che io ho percepito solo in poche altre situazioni e che non esito a definire agonistica.
Come detto non sono nuovo a contesti del genere. Ho aiutato nell'organizzazione di eventi borderline come il NEXT Adventure nel 2015, in tal senso guidati da intenti unificatori e pacificatori delle varie realtà/filosofie. Ho visto dal vicino la crescita di atleti di fama mondiale, venendo collateralmente esposto a molti esponenti dell'ambito sportivo del Parkour. Io stesso mi definisco borderline tra le varie realtà e a livello di pratica personale, pur avendo deciso di dare più peso all'idea di disciplina interiore che di sola disciplina sportiva (senza togliere nulla a quest'aspetto, eh).
Non essendo nuovo a queste situazioni, cosa fa la differenza per me? Il numero e le proporzioni. Se nelle mie passate esperienze le varie attitudini alla pratica (ed età) potevano essere presenti in maniera più o meno equilibrata nello stesso spazio, in contesti come quest'ultimo della "birthday jam" di Jaco invece la presenza di così tanti giovani atleti e di un manipolo di praticanti tendenzialmente poco più anziani (eravamo in 2-3 i "nonni" della situa), ha invertito totalmente le proporzioni alle quali sono da sempre abituato.
Ora ecco in ulteriore analisi all'esperienza un po' di dati:
DATI (più o meno) OGGETTIVI
- età media ad occhio 22 anni, 60-70% dei partecipanti nati dal 2000 in poi;
- grande afflusso di gente, circa 50 persone;
- di conseguenza (forse?) poco spazio per muoversi e grande senso di affollamento dello spot senza scopo preciso;
- ad occhio una persona su 6-7 di sesso femminile;
- livello, di chi si muoveva con più frequenza, alto (inteso su skills pk specifiche);
- sesso, di chi si muoveva, quasi unicamente maschile;
- comportamento tendenzialmente rispettoso dello spot e delle persone di passaggio.
Dati che si riferiscono principalmente alla mia osservazione dal momento dell'arrivo al primo spot a quando siamo stati (come prevedibile) cacciati dalle forze dell'ordine (45 min circa).
DATI SOGGETTIVI
- atmosfera da "ansia da prestazione", con bisogno di spingere e "dimostrare" e che intuivo in altri dal body language (tranne in chi era per abilità, abitudine e forza, totalmente a proprio agio), ma per molti versi non competitiva e non dissimile da altre jam di mia partecipazione;
- atmosfera che unitamente al (forse?) poco spazio ha comportato una diffusa paralisi decisionale, con molte persone che vagavano senza saper cosa fare (tralasciando il posing diffuso in più o meno tutti gli ambienti);
- "forse?" perché è la stessa situazione che ho visto l'anno scorso a Torino con più o meno lo stesso gruppo e molto più spazio per muoversi;
- sensazione personale percepita di "giudizio esterno" come quella di un'esame, con poco o nullo spazio al dialogo interiore sul perché saltare;
- sensazione di chi non partecipava attivamente di "chill out", da situazione sociale random, con una nota velata di "neanche ci provo".
Puntualizzo che questi sono dati soggettivi, ovvero di come l'ho vissuta e percepita io, e non hanno quindi valore di giudizio sui partecipanti. Non definiscono se chi partecipa attivamente a questi contesti abbia più o meno un'esperienza introspettiva rompendo salti, né se questi abbiano esperienze del genere al di fuori delle jam. Semplicemente non si può evincere dalla sola osservazione e tanto meno deve essere una nota negativa se non si insegue un tal proposito, bensì una differenza.
Le domande che sorgono, anche discutendone con altri sono:
- è un contesto di crescita adatto a un principiante "non dotato" o magari non giovane?
- un ambiente così performativo con che frequenza può essere un fattore di drop-out nel medio-lungo termine (dato per assunto che c'è drop-out in ogni sport/disciplina)?
- qual'è il background del partecipante medio? Da dove è iniziata la loro esperienza nel Parkour? Corsi o indipendente?
- qual'è il leitmotiv di questi? Passione? Divertimento? Socialità? Bisogno di emergere?
- c'è una ricerca o una riflessione verso l'interiorità del muoversi o è un elemento sconosciuto, volutamente ignorato o tuttalpiù inconsapevole?
ma soprattutto:
- perché così tanta gente non si muove?
Lascio queste domande aperte e mi soffermo invece su come ho interiorizzato l'evento. Constatata l'atmosfera ho deciso di assecondare quella chiamata alle armi della situazione fuori comfort, di fatto mettendo in discussione quel dogma che negli anni mi ha fatto associare lo spingermi verso il mio limite per pressione esterna (ossia per voler dimostrare qualcosa a qualcuno) all'infortunio. Le poche altre occasioni così simili e significative che siano degne di essere menzionate sono state quelle di entrambi gli esami fisici/tecnici che ho dato per adapt 2: di fatto delle gare.
Nel mio credo c'è la necessità di ragionare sui perché si fanno certi salti rischiosi e di conseguenza di agire in risposta al "sentirmelo"... so per certo che per tante altre persone cresciute nel mio ambito è più o meno uguale. Proprio per questo motivo un certo tipo di pratica che si identifica come "fuori comfort", spesso invece va cadere dentro un'altra zona di comfort più subdola. Per molti spingere in certi movimenti, o metterci più fatica o saltare col buio e il bagnato, paradossalmente può diventare una "bolla di sicurezza" alla quale sostanzialmente ci si è adattati, favorendo in una qualche misura lo stallo.
Dal mio punto di vista crescere vuol dire fare ciò che non ci si trova a proprio agio fare. Per un "old school" (qualsiasi cosa ciò voglia dire) può essere proprio l'allenarsi in contesti totalmente diversi da quelli abitudinari. Magari con la musica ad alto volume. O meglio ancora con il peso del dover dimostrare qualcosa a qualcuno, mettendo a tacere tutte quelle riflessioni personali che oltre una certa soglia sono verosimilmente eccessive (overthinking).
Uno dei punti di forza di chi è adattato a questa situazione, è proprio quello di sostenere certe pressioni mantenendo la propria pratica usuale con una certa naturalezza. Va da sé che spesso si tratta di giovani molto avezzi a questi contesti, se non addirittura di fuoriclasse con zone di comfort gigantesche in termini di movimento. Questo non toglie che il fattore di crescita individuale, per chi non è proprio di questa modalità e che volontariamente sceglie di esporvici, è potenzialmente enorme.
Tenendo, infine, sempre conto dei dovuti rischi che ogni processo di crescita comporta.